Saccheggiando e rimaneggiando Blaise Pascal, si può dire che la politica ha ragioni che la ragione non conosce. E che il buon senso, così come il buon gusto, vorrebbero non conoscere. Succede da noi così come altrove. Di certo, nel caso del Brasile, alle prese con la decisione se estradare o meno in Italia il terrorista pluriassassino Cesare Battisti, sembra proprio che la personalissima «ragion politica» del presidente della Repubblica carioca, Inacio Lula da Silva, finirà per calpestare lindignazione della maggioranza degli italiani. Nonché, soprattutto, il legittimo desiderio di giustizia dei familiari delle vittime dellex militante dei Pac.
Lula, insomma, sembrerebbe orientato verso un «no». Nelle more, stando a una anonima fonte governativa di Brasilia, starebbe traccheggiando. Non avrebbe insomma fretta di adeguarsi alla decisione presa a maggioranza dal Tribunale supremo brasiliano e favorevole all'estradizione. Dietro questo prendere tempo ci sarebbe una strategia precisa, seppur di bassa tacca, dato che pare esserle molto lontano, se non del tutto estraneo, il concetto di giustizia.
La medesima fonte spiega infatti che Lula sta procrastinando i tempi per trovare nuovi appigli con cui puntellare il suo ministro della Giustizia, Tarso Genro, dalla prima ora sostenitore della necessità di assicurare a Battisti lo status di rifugiato politico. E sottrarlo in tal modo a quelle galere italiane che gli starebbero addosso come un abito su misura. Il concetto di giustizia non centra per nulla in quanto Lula, così facendo, starebbe solo cercando di non mettere in difficoltà Genro, suo prezioso alleato politico alle elezioni del prossimo anno.
Genro - tanto per ricordare il tipino - è colui che ha affermato che Battisti dovrebbe rimanere in Brasile «per motivi politici e umanitari». Questo dal momento che in Italia, Paese al quale concede (bontà sua) di non essere «nazista o fascista», si sta assistendo a suo dire a un «aumento preoccupante del fascismo in parte della popolazione e anche in settori del governo». Dichiarazioni quanto meno sconcertanti considerato che vengono da un ministro (guarda caso proprio della Giustizia) di una nazione in cui com'è noto operano e ammazzano su scala industriale sia una feroce criminalità organizzata, sia i micidiali squadroni che seminano la morte perfino tra i ragazzini delle favelas.
E mentre da Sermoneta (Latina) il fratello di Battisti, Vincenzo, dichiara che «la paura maggiore è che Cesare faccia davvero quello che dichiara da tempo, togliersi la vita piuttosto che tornare in Italia», sempre in Brasile a fare da sponda a Genro ci sono affermazioni come quella dellavvocato brasiliano del terrorista, Luis Roberto Barroso, secondo il quale «in Italia cè un clima non propizio ad accogliere Battisti con serenità e dignità umana». Ovvero quei sentimenti che notoriamente il terrorista si guardò bene dal garantire agli innocenti da lui assassinati.
Bisognerà quindi aspettare la decisione di Lula, diviso dal dilemma tra sfidare la Corte carioca e «azzoppare» il suo principale alleato politico. Una data precisa non c'è, pur se si dovrà attendere quanto meno la pubblicazione della sentenza del Tribunale supremo. I legali di Battisti chiederanno intanto la scarcerazione per amnistia o, in seconda battuta, gli arresti domiciliari del loro assistito in attesa del processo a suo carico per falsificazione di documenti.
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