da Roma
Il Tevere non scorre accanto al palazzo di Montecitorio. Ma per un’intera mattinata, il fiume che separa le «chiese laiche» della politica dalle basiliche vaticane si è ugualmente allargato fino a lambire l’aula della Camera. Colpa di un emendamento alla Finanziaria, presentato dalla Rosa nel Pugno, teso a far pagare l’Ici anche sugli immobili «ad uso commerciale» di proprietà della Chiesa cattolica.
L’emendamento, lo diciamo subito, è stato respinto. Ma una cinquantina di parlamentari almeno - senza curarsi dei tempi ristretti per il voto sulla Finanziaria - ha deciso di dire la sua in materia, in un’atmosfera di contrapposizione ideologica trasversale fra «laici» e «cattolici» dei due schieramenti. Il nodo della contesa, segnalato dall’emendamento firmato dal rosapugnista Maurizio Turco, è semplice: giusto che la Chiesa non paghi l’Ici sui luoghi di culto, ma perché l’esenzione sulle attività commerciali «contigue», baretti, ristori, negozietti di ricordini e così via? Bruxelles potrebbe aprire una procedura di infrazione per aiuti di Stato. E Lanfranco Turci ricorda che dall’Ici non è esente neppure la prima casa: allora perché esentare non le chiese, ma gli immobili «contigui»?
Lo scontro si avvia, con Riccardo Pedrizzi (An) che accusa il governo Zapaprodi di essere «ostaggio dei settori più laicisti e anticlericali» della maggioranza, mentre i cattolici del centrosinistra «contano come il due di picche». Su collegi, convitti, educandati, pinacoteche, cappelle, oratori calerebbe così la scure fiscale, attacca Pedrizzi. «Tassare il santino della basilica di Sant’Antonio, mettere i frati nelle condizioni di far pagare di più le erbe medicamentose non risolve i problemi di cassa», gli fa eco Luca Volontè (Udc). Per Antonio Palmieri (Fi), quella rosapugnista è un’azione «anticlericale e vendicativa». Vladimir Luxuria annuncia il voto contrario all’emendamento, sorprendendo i colleghi. Teodoro Buontempo parla di «segnale forte di odio contro la religione cattolica».
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