Controcultura

L'ultima volta che Presley volle essere Re del rock

Si era appena rimesso in discussione ma rimase prigioniero del mondo dello spettacolo

L'ultima volta che Presley volle essere Re del rock

Lo spettacolo si apriva con Also Sprach Zarathustra (1896) di Richard Strauss, una sinfonia in omaggio di Friedrich Nietzsche. Poi il superuomo saliva sul palco: Elvis Presley, avvolto in uno dei famosi costumi di scena del 1972. In quell'anno, il superuomo ha già vissuto alcune vite. È stato uno scandalo negli anni Cinquanta, all'esordio, quando fece saltare due o tre steccati mentali all'America, conciliando la musica dei neri e quella dei bianchi. Elvis diventò oggetto delle brame di tutte le ragazze del mondo, le sue mosse col bacino erano più di un ammiccamento, invitavano a peccare. Poi il sex symbol diventò un bravo ragazzo, partì militare, mise la testa a posto, quando tornò c'era subito lo show di Frank Sinatra ad accoglierlo, scegliere il cantante italoamericano per ripresentarsi significava avere in mente un pubblico diverso dalle adolescenti in adorazione. Ma era più che altro un'idea dell'invadente agente di Elvis, il colonnello Tom Parker, uno dei personaggi più discussi nella storia della musica popolare. Il colonnello, che non era colonnello, era un piccolo impresario dal grande intuito. Da un lato, faceva guadagnare vagonate di soldi a Elvis e a se stesso. Dall'altro, non si curava affatto della reputazione artistica del suo assistito. Finché Elvis aveva pubblico, il problema nemmeno si poneva, pensava il colonnello. Elvis volle fare il cinema e diventare una stella di Hollywood, era convinto che il rock and roll non avrebbe potuto dargli una carriera lunga e remunerativa. Prima o poi sarebbero finite le code di ragazzine alle biglietterie e le vendite stellari dei dischi. Il modello di Elvis era James Dean. Il cantante non prese alla leggera il suo nuovo lavoro. Al contrario, voleva imparare e migliorare, proprio come aveva fatto con la musica. Nel mondo del cinema, però, non ebbe la stessa fortuna. Quando era ancora un aspirante stella del rock and roll, Elvis aveva aperto la porta giusta, quella dei Sun Studios del leggendario produttore Sam Phillips, un mentore con le orecchie ben aperte, come sanno altri suoi clienti come Johnny Cash, Jerry Lee Lewis e Carl Perkins, per dire i primi che vengono in mente. A Hollywood, nessuno si curava della recitazione di Elvis. L'aspirante attore finì in una serie interminabile di musicarelli dove era richiesto soltanto che Elvis facesse davanti alla telecamera le mossette che un tempo faceva sui palchi.

I film incassavano ma Elvis si sentiva umiliato. A peggiorare la situazione, arrivò la cosiddetta British Invasion: Beatles e Rolling Stones si impadronirono delle classifiche statunitensi. Tutti pagavano tributo al mito di Elvis ma Elvis era impegnato in pellicole al limite del ridicolo, con contratti interminabili. Era ora di riprendersi lo scettro. Presley si mise in forma e accettò di partecipare a una trasmissione televisiva divenuta leggendaria con il titolo '68 Comeback Special. Elvis, in mezzo al pubblico, eseguiva i suoi brani con i suoi musicisti di sempre. Niente trucchi. Suonavano davvero, anche sporco quando occorreva. Fu un momento esaltante della carriera di Elvis. Il Re era ancora il Re. Non poteva essere secondo a nessuno. Lo spettacolo è ancora lì, a disposizione di chiunque voglia sapere cos'è il carisma e cosa distingue un fuoriclasse da un imitatore. Elvis si buttò in sala d'incisione a Memphis e Nashville. Realizzò alcuni dei suoi brani e dei suoi album migliori. Dalla sola Memphis uscirono due canzoni-capolavoro come In the Ghetto e Suspicious Minds.

Adesso però Elvis voleva ricominciare sul serio con il rock e non si poteva fare sul serio senza esibirsi regolarmente dal vivo, possibilmente in tutto il mondo, come facevano i gruppi degli anni Sessanta-Settanta. Presley non lo sapeva. Lo show business ancora una volta gli salterà alla giugulare, succhiandogli il sangue e le forze per rilanciarsi, contemporaneo tra i contemporanei. Il colonnello Parker non era affatto d'accordo. Elvis però era testardo. Si giunse a una mediazione. Presley canterà come stella residente dell'Hotel International (poi Hilton) di Las Vegas. L'impegno era lungo e faticoso. Nel resto dell'anno, Elvis sarebbe andato in tour ma solo negli Stati Uniti per motivi di sicurezza, non è dato sapere quali, una scuola di pensiero sostiene che il colonnello, millantatore di prima classe, non potesse avere il passaporto a causa di alcuni problemi di giustizia. Certamente il contratto a Las Vegas conteneva un ampio compenso che il colonnello, giocatore incallito, restituiva per intero alle casse del casinò.

I ritmi erano sfiancanti ed Elvis si sentiva sempre più solo. Nel febbraio 1972 si separò dalla moglie Priscilla. Qualcosa non andava anche dal punto di vista fisico ma il divo si ingozzava di farmaci per essere sempre in grado di salire sul palco e offrire lo spettacolo al pubblico. Dall'inizio del decennio, manifestava una lieve forma di paranoia, che lo spinse a giocare troppo con le armi e a farsi nominare agente dell'Fbi da Richard Nixon. Sezione narcotici, per ironia.

Ora noi abbiamo la possibilità di cogliere Elvis sul crinale che divide la scalata al successo e alla grandezza artistica, dalla discesa nella psicosi. L'album Elvis Opening Night 1972 è la registrazione del primo concerto della stagione all'Hilton. Splendida la copertina, che ritrae Elvis in una posa da karateka, avvolto in un vestito rosso. Splendida l'esibizione. Di eguale livello sono gli show raccolti nel cofanetto Elvis on Tour: siamo sempre nel 1972, ma in giro per gli Stati Uniti. Insieme con Elvis c'è la troupe del documentario Elvis on Tour, che trovate nel cofanetto omonimo. Presley aveva posto il veto su interviste che andassero sul personale ma di fronte al registratore si lascia andare e ne dice di tutti i colori sul mondo di Hollywood, ammettendo di aver gettato via anni preziosi. A parte questo, Elvis entra nel dettaglio del tour e della scaletta. Sostiene che il palco sia l'unico luogo dove gli sia concesso sperimentare, in studio il colonnello Parker ostacola le incisioni, imponendo insopportabili clausole agli autori delle canzoni migliori.

Al netto dei guai, l'Elvis del 1972 è un gigante. La voce, ormai matura, gli permette di interpretare novità come American Trilogy. In scaletta finisce anche il country sopraffino di pezzi da novanta come Kris Kristofferson e Willie Nelson. Ma ci sono anche Ray Charles e i Creedence Clearwater Revival. Elvis poi introduce un gruppo di voci gospel maschili, una cosa abbastanza sorprendente e inconsueta. Tra i musicisti, Presley pesca i più trasversali, quelli che possono suonare sia la classica sia il soul. A tutti impone di studiare circa 400 canzoni, anche se la scaletta è quasi sempre uguale. I concerti sono una bomba per gli spettatori ma hanno anche un effetto dirompente sulle condizioni di Elvis, che non ha nessuna intenzioni di fermarsi.

È un uomo in attesa che cali il sipario.

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