Politica

Lunardi: Prodi farà perdere 10 anni all’Italia

Antonio Signorini

da Roma
Come giudica i cento giorni del governo Prodi per quanto riguarda le infrastrutture. I primi tre mesi del ministro Antonio Di Pietro assomigliano un po' ai suoi?
«Un paragone tra i cento giorni nostri e quelli loro è impossibile, perché loro per le infrastrutture non hanno fatto niente. A parte distruggere quello che abbiamo fatto noi in cinque anni di governo e avviare inchieste per vedere se il centrodestra aveva commesso scorrettezze. Niente di concreto, quindi. Anche perché non si possono permettere un piano decennale per le infrastrutture come il nostro. Sono in ostaggio della sinistra estrema».
L’attuale ministro delle Infrastrutture non ha fama di estremista ed è favorevole alla costruzione di grandi opere, anche lui è ostaggio?
«Io credo che Antonio Di Pietro avrebbe la volontà di realizzarle, ma è bloccato dall’estrema sinistra e dai Verdi. Lo si è visto fin dalle prime battute di questo governo. L'idea che noi cercammo di realizzare nei primi cento giorni di lavoro era quella di trasformare quattro dicasteri in un unico ministero. Poi incontrammo le Regioni, con le quali abbiamo sempre cercato e trovato intese sul programma. Oggi mi sembra che i due ministri che si occupano delle materie del dicastero delle Infrastrutture decidano senza cercare intese con le Regioni, che a loro volta non protestano, essendo quasi tutte governate dal centrosinistra. A noi non avrebbero permesso di muovere un dito senza prima un’intesa. E il nostro programma è stato condiviso da tutti».
È possibile che qualcuna delle opere iniziate dal precedente governo arrivi in porto?
«Loro a parole dicono che le cose cominciate da noi, come il Ponte sullo stretto, il quadrilatero delle Marche, i tratti della Ionica, la Salerno-Reggio Calabria, non sono più delle priorità. Tradotto significa che non vogliono fare niente. Anche perché le grandi opere si possono solo fare sulla base di programmi a lungo termine».
Questo significa che senza dare priorità alle infrastrutture l’Italia rimarrà ferma?
«Di più, significa fare accumulare al Paese almeno altri dieci anni di ritardo nella realizzazione delle opere. La famosa Torino-Lione, l’alta velocità Milano-Genova erano opere partite, cantierate e finanziate. Eravamo avanti anche con il Brennero e il Ponte sullo stretto, ma tutto questo è stato bloccato. Non si sa né quando né se si faranno. È un danno enorme, chiaramente anche economico».
Intende perché non ci saranno più le opportunità economiche legate a opere come l’alta velocità Torino-Lione?
«No, sto parlando proprio di un danno all’erario. Bisognerà che qualcuno verifichi se c'è stato».
E lei ha un’idea di quanto ammonti il danno?
«Sicuramente stiamo perdendo 4,5 miliardi di euro in finanziamenti europei. Questo significa che quando e se si faranno le nuove strade e le ferrovie, quella somma la dovrà coprire lo Stato italiano. E per me questo significa sottrarre denaro all’erario».
Solo questi 4,5 miliardi?
«Poi ci sono i risarcimenti alle imprese che avevano ottenuto le commesse. Sono altri miliardi di euro, difficile quantificarli con precisione adesso. Comunque ne dovranno rispondere».
Nella scelta di non fare più le grandi opere secondo lei prevale la spinta di tipo politico alla quale ha accennato o c’è anche un problema economico, lo spostamento di risorse dagli investimenti alla spesa corrente?
«Io credo prevalga la ragione politica. Anche perché sono convinto che almeno uno dei miei successori, Di Pietro, vorrebbe veramente farle le infrastrutture. A bloccarlo è l’estrema sinistra e per questo non riuscirà a fare niente».
Dove andrà a finire la dotazione finanziaria della società Stretto di Messina?
«Faranno una legge ad hoc e saranno messi in economia. Insomma, andranno persi».
Lei fu oggetto di critiche per alcune nomine avvenute quando era ministro. Come giudica il governo Prodi da questo punto di vista?
«Hanno applicato alla lettera il principio dello spoils system. Noi non lo facemmo. Hanno messo tutte persone di sicura fede, anche se non sto discutendo la qualità dei singoli. Noi interpretammo quella delle infrastrutture come un’emergenza nazionale. Lo consideravamo un tema che doveva prescindere dagli schieramenti politici. Mi pare che questo governo abbia scelto la strada opposta. Il tutto a un prezzo elevatissimo, almeno altri dieci anni di ritardo e perdite economiche».
Il corridoio 5 dell’alta velocità che attraverserà l'Europa da Est a Ovest e che comprende il tratto Torino Lione passerà ancora per l'Italia?
«No.

E questo significa aver buttato via la possibilità di creare migliaia di nuovi posti di lavoro».

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