Irene Liconte
Tre donne gemono ai piedi della Croce sul Golgota: ma non sono la Madonna, Maria Maddalena e Maria di Cleofa, come tramanda il Vangelo di Giovanni, ma tre «prefiche», ossia tre lamentatrici di professione che si guadagnano la giornata vendendo il proprio pianto. È il nucleo tematico di «Kirie» di Ugo Chiti, interpretato da Mariella Lo Giudice, in scena stasera alle 21.15 in Piazza S. Matteo. Lo spettacolo, presentato nell'ambito del Lunaria Festival, è portato in scena dal Teatro Retablo di Catania, per la regia di Federico Magnano San Lio ed è accompagnato dalle musiche di Germano Mazzocchetti. Ardita la forma teatrale scelta dall'autore: il monologo. Ecco così che Mariella Lo Giudice dà corpo e voce alle tre donne, che attendono con impazienza il verdetto di Pilato sperando in una condanna che per loro significa procacciarsi di che vivere, e a una congerie di altri personaggi, sia maschili che femminili, che si avvicendano sul luogo del Calvario.
Uno spettacolo coraggioso, che sviscera il conflitto tra anelito alla fede e ineluttabilità del dolore e affronta il tema, scottante e sempre attuale, della capacità di credere nonostante la sofferenza che imperversa nel mondo, eleggendo a paradigma proprio l'episodio della Passione di Cristo, momento culminante del cristianesimo e della storia. La scelta di Chiti affonda le sue radici nella storia del teatro: nel Medioevo le sacre rappresentazioni, i misteri, venivano inscenate per rafforzare la fede nel popolo: celebre è il «Pianto della Madonna» di Jacopone da Todi, risalente alla seconda metà del '200 e ambientato appunto sul Golgota. In seguito, altri letterati ripresero questo genere letterario con affinità di spirito: basti citare il Manzoni. Chiti, invece, ribalta audacemente la tradizione: in scena non si consuma infatti uno struggente compianto funebre, una toccante rivisitazione della Pietà, ma un pianto sterile che è teatro nel teatro. Pur «entrando in scena» solo nel finale, è attorno a Cristo che ruota l'intero spettacolo: un Cristo condannato e crudamente solo. Dove sono i discepoli disperati? Lo hanno tutti rinnegato come Pietro o tradito come Giuda? E come non riconoscere in Gesù l'incarnazione di ogni condannato a morte? Ai brani dissacratori articolati dalle lamentatrici, disilluse rispetto alla vita e animate dalla contingente necessità di assicurare la sopravvivenza a se stesse e alla famiglia, fanno da contrappunto momenti di alta poesia: la vibrante apologia della madre di Giuda, che rivendica il profondo amore nutrito dal figlio per Gesù ed esteriorizzato dal tanto esecrato bacio. Un'ardua commistione di sacro e profano, «un'esperienza mistica», come la definisce Mariella Lo Giudice, che ha riscosso un notevole successo nei panni di Marianna Ucria nella scorsa stagione dello Stabile ed è ansiosa di proporre questa messinscena al pubblico genovese, «un pubblico difficile, ma per questo ancora più gratificante». E dello spettacolo dice: «Ugo Chiti ha compiuto un atto di amore cimentandosi con un tema tanto delicato; a mio avviso, però, il testo non si arroga il compito di dare risposte definitive, di suggerire se il sacrificio del Golgota apra uno spiraglio di salvezza per l'umanità oppure no: l'autore si è piuttosto prefisso di guardare questo grande evento storico dal punto di vista della gente comune che quell'evento straordinario lo visse».
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