Controcultura

L'unico virus dell'arte è il terrorismo culturale

Impedire alle opere di viaggiare (con le dovute cautele) è un danno incalcolabile per tutti

L'unico virus dell'arte è il terrorismo culturale

Il virus apre una strada nuova anche all'arte. Mi scrive (come presidente del Mart, il Museo d'arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto) il direttore del Musée d'Orsay chiedendomi, per una mostra all'Orangerie, di rinunciare all'invito di un nostro courier (accompagnatore) per un'opera che ci è stata richiesta in prestito. Sono evidentemente preoccupati dell'emergenza sanitaria. Ho risposto che senza il courier l'opera non parte e che non mi sarei piegato all'epidemia inventata, a una suggestione diffamatoria: «Gentile Direttore, in qualità di presidente del museo, nonché di parlamentare della Repubblica Italiana, mi pregio di rispondere alla sua comunicazione di oggi.

«Mi è noto il rapporto privilegiato tra il Mart e il Musée d'Orsay e ovviamente auspico che ci possa essere reciproca comprensione al fine di continuare ad avere rapporti favorevoli tra le due istituzioni. La richiesta di non accogliere un accompagnatore dal MART suscita in me sconcerto, e pertanto non può in alcun modo essere considerata ricevibile. Il MART ha sede a Rovereto, in Trentino Alto Adige, dove, a differenza di altre aree del mondo, nonché, più nello specifico, di altre regioni italiane individuate dal governo e dall'Istituto Superiore per la Sanità, non sono state ritenute necessarie misure di prevenzione del rischio, tali da corrispondere a quanto da voi prospettato. Accettare l'ipotesi che un dipendente del nostro museo possa essere considerato elemento di turbamento per la sicurezza e l'atmosfera dell'allestimento, costituirebbe la conferma di un pregiudizio paragonabile al rischio di contagio a cui il nostro dipendente potrebbe essere esposto recandosi a Parigi per le operazioni in oggetto. Pertanto non posso che confermarle la richiesta di prevedere un accompagnatore come indicato dal contratto di prestito; o di attendere per il prestito che la situazione si rassereni».

C'è, infatti, da sottolineare che il Trentino non è zona gialla o rossa o comunque considerata particolarmente a rischio. Accettare una simile proposta significherebbe alimentare un pregiudizio che ha risvolti politici. È per questo che la peste presunta trova sostenitori in personaggi sinistri come Tomaso Montanari, nemico dei prestiti, che la crisi interdice. La perversione del loro pensiero è in queste riflessioni: «Venezia e Firenze in questi giorni appaiono belle e accoglienti come non lo erano da trent'anni almeno».

Ancora qualche giorno e il Leone X di Raffaello non sarebbe partito, non avrebbe trovato accompagnatori. D'altra parte è solo una forma di cortesia invitarmi in televisione per raccomandare che i musei restino aperti. Forse per mostrare la desolazione delle diserzioni di un popolo intimidito. Si tratta di un alibi, neppure da tutti condiviso, se l'eccellentissimo santone Roberto Burioni non risparmia critiche al sindaco di Ferrara, Alan Fabbri, il quale ha proposto a baristi e ristoratori di offrire a metà prezzo il biglietto dei musei: «Invitare implicitamente le persone ad affollare bar e ristoranti per avere lo sconto ai musei civici (ammesso e non concesso che a molti effettivamente interessi andare al museo) è l'esatto contrario di quello che dovrebbe fare un amministratore pubblico oggi. Se da un lato sono comprensibili i timori (e magari anche le pressioni) degli esercenti per il futuro delle loro attività non è questa la risposta che deve essere data. Un governante responsabile questo lo sa».

Intimidazioni, terrorismo, nel tentativo di imporre, con l'autorità della scienze, un pensiero unico. Ciò che un tempo erano religione e inquisizione, attraverso la minaccia dell'inferno e le condanne agli infedeli, oggi è il dogma di medici stregoni che predicano dal pulpito delle televisioni e non nelle chiese svuotate. Ma il risultato è lo stesso: mortificare, suggestionare, preoccupare, imponendo uno stato di allarme per un pericolo inesistente. E, a fronte di un virus ovunque diffuso, prevalgono le ragioni tendenziose della geografia, che indicano alcune aree più a rischio di altre.

Ma basta spostarsi... Superato il confine Veneto si entra in Val Pusteria da Auronzo e si arriva a San Candido... Nessuna traccia di amuchina, niente scritte terrorizzanti, nessuna imposizione strana e «metrica» sulle distanze da tenere con il prossimo... Effettivamente dà da pensare... Qui poca gente ma tutti sorridono, non capisco perché basti così poco per uscire da questo incubo (basta superare un confine fisico e la tosse non è più pandemica?).

Trattandosi di salute il risultato è stato devastante, stringendo nell'angolo lo scetticismo di pochi, pur interpreti di una sopita sensazione generale. Anche nel caso dei capolavori inviati alle mostre il metodo è lo stesso: il terrorismo di dichiarare fragile un disegno come l'Uomo vitruviano di Leonardo che è, come tutte le carte, come qualunque altro disegno, delicato, non fragile, basta muoverlo con accortezza e prudenza. Quando giriamo con un libro, costituito di molti fogli di carta, di per sé portatile, dovunque lo portiamo, se non è sottoposto ad agenti atmosferici, stracciato o strappato, lo ritroveremo come era. È quello che è accaduto, dopo due mesi al Louvre, all'Uomo vitruviano, tornato perfettamente sano a casa, com'era inevitabile. E allora perché tanto rumore? Per vanità, per retorica, per protagonismo? E perché non mandare a Roma, nel cinquecentesimo anno dalla morte di Raffaello, il Ritratto di Papa Leone X, il quale a Roma fece lavorare Raffaello e con lui dialogò sulle antichità romane? Bene ha fatto il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, a prestarlo, contrastando le argomentazioni del Comitato Scientifico che non invocavano, questa volta, le condizioni (perfette) del dipinto, ma l'essere, credo avventatamente, in una lista di dipinti, per varie ragioni ritenute inamovibili. Ma la ragione si fortifica quando si ammette una eccezione. Ed è il caso del Leone X che sarebbe stato ridicolo non prestare a una grande mostra di Raffaello. Dunque di chi è l'errore? Di chi ha stabilito un dogma che va comunque interpretato, apprezzate le circostanze. E, in questo caso, senza alternativa al prestito, salvo che per pregiudizio.

Ben meno motivata la presenza dell'Estasi di Santa Cecilia di Bologna, che cinque anni fa stimolò l'insurrezione di nullità varie per essere stata spostata di trecento metri dalla Pinacoteca nazionale al grande Palazzo Fava. Gli indignati si svegliano a intermittenza, e gridano allo scandalo in alcune circostanze per tacere di altre di identica fattispecie. Le opere si prestano perché sono utili al discorso di chi studia un'epoca, dimostra una tesi, celebra un artista. Senza il Leone X è molto limitante parlare di Raffaello. Era giusto così. Mentre, per altre intimidazioni, alla mostra di Caravaggio, a Capodimonte a Napoli, non poté andare un dipinto celebre in perfette condizioni come le Sette opere di Misericordia del Pio Monte di Napoli. Più che tutela, è un dispetto, per compiacere Tomaso Montanari quella volta vincente, questa volta perdente.

Per rispetto di Raffaello.

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