L'uragano Rice scuote gli ulivisti: "Bye bye, Max"

Roma - «Oh, Maremma!». A metà pomeriggio un importante ministro toscano esce dall’aula di Montecitorio, e scopre che il Dipartimento di Stato Usa ha diramato il comunicato di secca smentita a D’Alema. Sbianca in volto: «Ma veramente la Rice ha detto questo? Una cosa di una pesantezza mai vista...». Per il centrosinistra è una giornata da cardiopalma, per alcune ore nei palazzi della politica si spargono timori di ogni genere, tra i parlamentari ci si interroga persino sull’eventualità di dimissioni del titolare della Farnesina. «Bye bye, Max», si sussurra. L’appuntamento con il voto di martedì al Senato sulla missione afghana è guardato con crescente timore: «Siamo molto preoccupati per quello che può succedere - confida Enrico Letta ad alcuni deputati -, pensavamo che potesse essere una passeggiata, adesso non sappiamo come ne usciremo. L’incidente sugli ordini del giorno è altamente probabile. Siamo in bilico». Anche dal Quirinale filtra una certa preoccupazione, e si sollecitano «regole certe e condivise» con gli alleati sui sequestri, per evitare nuove «divergenze». Il ministro ds Bersani cerca di rassicurare: «Certo, la situazione è difficile. Ma occorre vedere come evolve la situazione di qui al voto: in una crisi diplomatica si raggiunge un punto massimo di criticità, poi però ci si deve fermare...». Come dire: ora gli Usa stanno sparando le cannonate più pesanti, ma nei prossimi giorni le acque si dovranno calmare. Clemente Mastella sbotta: «Dobbiamo dire la verità: non siamo un Paese in grado di stare sui teatri di guerra. È inutile fare gli spavaldi, c’è una questione di cultura profonda, che rispetto, che ce lo impedisce. Se per un solo rapito succede questa iradiddio, figuriamoci se possiamo combattere e vederci tornare le bare. Siamo come la Svizzera, dobbiamo arrivare dopo la fine dei combattimenti con gli aiuti». A Palazzo Madama, si dà per (quasi) certo che il decreto passi, sia pur col voto determinante dei senatori a vita, e che la Cdl alla fine lo voti, ma l’Unione teme quello che il verde Cento chiama «il rischio Vicenza». Ossia l’approvazione di un ordine del giorno Cdl (quello che chiede di mettere i nostri soldati in condizioni di difendersi, o uno eventuale, e temutissimo, che affermi che con i talebani non si deve mai trattare), con alcuni voti di centrosinistra: uno schiaffo violento per il governo. Non sono più i dissidenti di sinistra a preoccupare: «Abbiamo stabilito che nessun documento di opposizione va votato, ma ci sono almeno 12 voti ulivisti filo-atlantici a rischio», confida un capogruppo. E fa l’elenco: Dini, Manzella, Follini, Maccanico, D’Amico, Polito... E c’è anche il serio pericolo che la mozione di maggioranza che chiede la conferenza di pace non passi: «È quasi matematico - dice Cento -, quindi sarebbe molto più prudente ritirarla, e rimettersi all’aula sul resto. Altrimenti...». Altrimenti saranno guai, per Prodi e D’Alema.

E ieri più d’uno faceva notare un particolare sfuggito ai più: l’assenza di Walter Veltroni a Ciampino, la sera del rientro di Mastrogiacomo: «Walter non è mai mancato in vita sua ad un evento simile, ed era stato il primo ad organizzare manifestazioni di solidarietà - osserva il ds Peppino Caldarola, che ben conosce il sindaco di Roma -. Ha voluto tenersi alla larga: il suo fiuto politico e le sue relazioni con gli Usa gli hanno fatto capire in anticipo che razza di conflitto stava per scoppiare. E si è chiamato fuori».

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