Si entra. Siamo nel Grande atrio. La prima opera, a parete intera, è una serie di nove pannelli, ispirati alla scrittura araba, di Cy Twombly, anno 2008. Enormi acrilici su tela: fondo blu mare e onde di bianco. Perfettamente in tono con i due uomini degli Emirati, lì davanti: kandura immacolato alle caviglie e maniche fino al polso, ghutra in testa e iPhone in mano. L'arte islamica è aniconica, il selfie è universale.
Il Louvre di Abu Dhabi è il museo universale, l'edificio è mastodontico e la mission quasi impossibile: trascendere geografie e civiltà per vedere l'intera storia dell'umanità sotto una nuova luce. Quella disegnatale attorno dall'archistar Jean Nouvel.
Benvenuti negli Emirati Arabi, città capitale Abu Dhabi, isola artificiale di Saadiyat, 25 minuti di auto dal centro: qui il passato, fino a dieci anni fa, era una distesa di sabbia e sole. In futuro sarà il Distretto culturale del Paese: sorgeranno lo Zayed National Museum progettato da Norman Foster, un museo marittimo disegnato da Tadao Ando, il Guggenheim Abu Dhabi di Frank Gehry e il Performing Arts Centre di Zaha Hadid (conto totale: 27 miliardi di dollari da qui al 2030). Il presente, intanto, è una colossale operazione di marketing, altissima tecnologia, finanza e cultura che - unendo il marchio del celebre museo francese e i petrodollari degli sceicchi - ha innalzato il Louvre di Abu Dhabi. Inaugurato un anno esatto fa, è la gemma più preziosa - e costosissima - del tesoro d'arte del mondo arabo: 600 milioni di euro per la costruzione, 525 milioni di dollari per poter utilizzare (per 30 anni) il brand Louvre, 750 milioni di dollari per acquisti di opere che costituiscono la collezione permanente.
Risultato: una straordinaria (questo sì) costruzione che sorge dall'acqua, 24.000 metri quadrati totali, un labirinto di 55 ambienti piccoli e grandi (tra cui un ristorante e una caffetteria pieds dans l'eau, voto: 10), una cupola ribassata di 180 metri di diametro e 50 tonnellate di acciaio intrecciato come le foglie di palma delle capanne beduine e ispirata allo stile delle moschee: linee orientali e una pioggia di luce che si riflette tra i muri lattescenti e le acque del golfo. Forme arabeggianti e spirito veneziano.
Sì, ma com'è il museo? L'elemento di forza, a differenza dello skyline così eclettico da diventare disordinato dei grattacieli della vicina e verticalissima Dubai, è che si armonizza con il paesaggio naturale e storico su cui l'immenso edificio si appoggia (in soltanto quattro punti nascosti, miracolo dell'high tech messa in mano alle archistar). L'elemento di debolezza è invece la consueta superiorità del contenitore (il museo-opera d'arte stile Guggenheim di Bilbao, il Maxxi di Roma, la Fondazione Louis Vuitton di Parigi...) sul contenuto: la collezione non può essere all'altezza né del marchio Louvre né dell'architettura di Nouvel. Il percorso, che vuole raccontare la storia culturale dell'uomo dal Neolitico ad Ai Weiwei in 12 gallerie (la prima ospita «I villaggi primitivi», l'ultima è titolata «A Global Stage») è troppo ambizioso, più ancora del napoleonico Louvre di Parigi. Ma l'allestimento è perfetto (tutto disegnatissimo: dalle teche alla segnaletica, dai lucernari ai divani in pelle nera per le soste, anche se quelle didascalie ad altezza pavimento...). E alcuni pezzi imperdibili.
Attenti, il rischio qui è di perdersi: 6.700 metri quadrati di esposizione, 23 sale, 600 opere (la metà provenienti dai musei francesi del circuito Louvre, il resto acquistato dagli emiri, nello specifico l'autorità per il Turismo e la Cultura di Abu Dhabi) e una grande «metafora universale» della contaminazione che dispone sarcofagi, giade, quadri, arazzi, armature, mosaici, maioliche e statue incrociando il tempo e lo spazio, da una delle più antiche statuette dell'umanità, un idolo a due teste della Cappadocia del 2000 prima di Cristo a una Antropometria di Yves Klein. E oltre l'ultima galleria, exit: eccoti - fra strade e canali - nel mezzo della piazza della «città-museo», un grande cortile tipico del mondo islamico, inclusa pavimentazione ottomana e fontana ottagonale. A destra e sinistra il mare del Golfo, in mezzo l'installazione di Giuseppe Penone Leaves of Light, un altissimo albero in bronzo che attraverso specchi incastonati sui rami riflette la luce che cade dalla cupola di Jean Nouvel. Natura, Arte e Uomo.
Gli uomini oggi in visita al museo - è un ordinario sabato di luxury, vanità artistiche, orange juice e Macarons au café - sono tanti, ma le donne, anche sole, di più. Emiratine e saudite sono in niqab nero, le nordiche come sempre sbracciate e in infradito, le giapponesi con iPad e audioguida. Tutte impegnate a creare la propria personalissima gallery fotografica. Turisticamente, Abu Dhabi ha fatto un affare. «Abbiamo festeggiato il primo anno con oltre un milione di visitatori», dichiara Mohamed Khalifa Al Mubarak, presidente del Dipartimento cultura e turismo di Abu Dhabi. «La diversità del pubblico non riflette solo la società multiculturale di Abu Dhabi, ma illustra anche come il museo, che mira a creare ponti tra culture diverse, faccia appello a tutti, dagli studiosi ai giovani».
I residenti degli Emirati Arabi rappresentano il 40% del numero totale di visitatori. L'altro 60% proviene prima di tutto dal Medio oriente (in primis dalla confinante Arabia Saudita), poi da India, Cina, Stati Uniti, e dall'Europa (Francia, Germania e Regno Unito soprattutto, ma oggi qui ci sono diversi gruppi di italiani). Il Louvre di Abu Dhabi, un po' casbah un po' astronave, accoglie tante famiglie, turisti del lusso (più che dell'arte), pullman dei tour operator. Ma l'obiettivo è centrato: le sale sono piene. Molto più che se la collezione fosse stata solo di storia mediorientale o d'arte contemporanea. «Fin dall'inizio, il nostro progetto è stato di offrire esperienze che celebrassero la creatività umana», ci dice Manuel Rabaté, il direttore. «Siamo felici che quest'anno così tanti visitatori siano venuti a scoprire la nostra narrativa universale sotto la cupola iconica del Louvre».
Ecco. Quello che manca - al netto della strepitosa architettura - è proprio l'opera iconica del museo. Il percorso è ricco e vario (c'è la statua di drago più antica del mondo o l'Autoritratto di Van Gogh del Musée d'Orsay, in prestito). Ma manca il «pezzo» identitario della collezione. Doveva arrivare il Salvator Mundi di Leonardo da Vinci (che non si sa neppure se sia vero, falso o «ritoccato»). Ma è sparito: forse è in un caveau della sede di Christie's a New York, visto che l'acquirente, il principe saudita Mohammad bin Salman, per altro accusato di essere il mandante dell'omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, ha smesso di pagare le rate dopo averlo acquistato all'asta per 450 milioni di dollari... Intrighi e misteri del quadro più costoso del mondo.
Il quadro più bello, invece, è un altro Leonardo, la Belle Ferronnière (1490-95), appena entrati a sinistra della Sala 4, poi c'è Napoleone che attraversa le Alpi di Jacques-Louis David (resteranno in tutto un anno e mezzo), e poi Le Bohémien di Edouard Manet, un Gauguin, una Composizione di Piet Mondrian... La grandeur soffia fino quaggiù.
È per questo che la cosa più bella è la più piccola.
Sono, nelle teche del vestibolo che introduce alle gallerie, le statuette e i manufatti, provenienti da ére e aree geografiche diversissime, dal Nord della Cina al Sudan, dall'età del Bronzo agli amerindi, messi confronto sullo stesso tema: il cavaliere, la morte, la maternità... Artisticamente così diversi, simbolicamente identici. Che poi è questa l'universalità dell'uomo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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