Müller alza la posta. Vuole più potere?

MOSCHE & MOSCONI Appellandosi allo statuto della Biennale, Muller ricorda infatti d'essere stato nominato direttore del settore cinema. Il che significa non solo scegliere i film e attribuire i leoni alla carriera, ma gestire l’impianto organizzativo della Mostra. Proprio ciò che Croff s’è guardato bene dal fargli fare. La diatriba, in fondo, è tutta qui.

Müller alza la posta. Vuole più potere?

Venezia - Come interpretare l'intervista a Goffredo Bettini che occupava ieri, curiosamente, un quarto delle due pagine veneziane di Repubblica? Il senatore diessino si dice convinto che la Festa di Roma sia «la migliore alleata della Mostra». Insomma, sarebbe merito della concorrenza tra i due festival se «Venezia è diventata più bella». Al Lido l'intervista è stata letta con interesse misto a perplessità. Specie laddove Bettini non esclude, in futuro, di dotare la Festa di un direttore artistico vero e proprio. «La discussione è aperta», informa. Tuttavia, Marco Müller non sembra disponibile all'ipotesi romana, anche nel caso, improbabile, che Rutelli designi un nuovo timoniere a Venezia. Sarebbe anzi proprio il concetto di direttore artistico a non stargli più bene, in assoluto. Appellandosi allo statuto della Biennale, ricorda infatti d'essere stato nominato direttore del settore cinema. Il che significa non solo scegliere i film e attribuire i leoni alla carriera, ma gestire l’impianto organizzativo della Mostra. Proprio ciò che Croff s’è guardato bene dal fargli fare. La diatriba, in fondo, è tutta qui.

IL DIBATTITO. È l'esercizio più in voga, in questi giorni di Mostra: scrivere elzeviri ed editoriali sullo stato del cinema italiano, in un fitto carteggio di botte e risposte (l'altro ieri, sul Corriere, un piccato Ermanno Olmi versus Pierluigi Battista). Ognuno, ovviamente, la pensa come vuole. Però non ha tutti i torti, anzi ha proprio ragione, il critico Paolo Mereghetti quando, sulla prima pagina del daily Ciak in Mostra, ironizza: «A leggere tutti questi interventi viene il dubbio che il cinema di riferimento di tanti polemisti sia un po' evanescente, legato a memorie lontane (qual è l'ultimo film che hanno visto?), troppo slegato da una conoscenza diretta dei meccanismi del mercato, che naturalmente non sono più quelli del neorealismo o della commedia all'italiana». Insomma: cari Scalfari e Galli della Loggia, informatevi meglio prima di dare le pagelle.

LOOK. Freddo a parte (l'altra sera la temperatura è scesa a 15 gradi, con conseguenze nefaste sulla festa in riva al mare organizzata dagli uffici stampa), continuano a far sorridere certe eccentricità di abbigliamento colte per strada, al bar o in passerella. Per esempio, la canottiera bianca indossata da Rupert Everett, giurato del premio «Luigi De Laurentiis», sulla terrazza dell'Excelsior: attillata, molto «macho man», perfetta per esaltare i muscoli rimodellati. Colpiscono anche le sneaker bianche, massicce e gommose, portate da Gigi Marzullo sul completo blu, il pigiama di seta indossato da Julian Schnabel, l'abito viola premaman con il quale Helena Bonham-Carter, signora Tim Burton, ha sfidato la nota superstizione degli attori.

DEMITIANA. Battuta colta al volo alla premiazione di Tim Burton, dove s'è affacciata Antonia De Mita, abito nero strizzatissimo, capelli lunghi lisciati all'indietro, profilo da guerriera. «È la Santanchè della Mostra».

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