Ho visto "Bovary", in anteprima, nella versione di Elena C. Patacchini, ideazione e regia di Stefano Cordella, a Forlì in occasione del Festival "Colpi di scena", organizzato da Accademia Perduta. Debbo confessare che avvertivo, dentro di me, una certa impazienza perché non amo vedere, trasferiti sul palcoscenico, certi classici che, proprio perché tali, andrebbero tutelati, visto lo sfacelo che spesso ne consegue. Avevo assistito ad altre messinscene, abbastanza recenti, di "Madame Bovary", con la regia di Giancarlo Sepe che aveva ridotto il copione a un monologo per Monica Guerritore, successivamente avevo assistito, al Franco Parenti, ad una versione di Andrea Baracco per Lucia Lavia, entrambe le rappresentazione si rifacevano al capolavoro di Flaubert. Prima del debutto di "Bovary", al Teatro Diego Fabbri, ero molto perplesso. Alla fine, ho dovuto ricredermi, perché non ho assistito ad una riduzione del romanzo, ma a un testo del tutto nuovo che raccontava la storia di una coppia contemporanea che, forse, per caso, portava solo i nomi dei due protagonisti del romanzo, ma che aveva poco a che fare con la sensualità esplicita, con l'erotismo prorompente, con la fame di vita, con la ricerca di libertà dell'eroina flaubertiana, una donna che amava illudersi, ma che rimaneva vittima delle sue fantasie. Lo spettacolo debutta ora al Teatro Litta, da stasera, 18 novembre, fino al 30 novembre.
La coppia di "Bovary" è una coppia misurata, consapevole di cosa fosse l'esatta misura, necessaria per esprimere sentimenti in maniera del tutto convincente. La misura corrisponde a un ordine familiare, quello a cui tendono la giovane Emma e il marito Charles, per mantenere il menage familiare in equilibrio. Emma soffre d'insonnia, ama fare lunghe passeggiate, in perfetta solitudine, anche se le fa molto piacere essere ricercata. Non ha sempre un bel carattere, è spesso smaniosa, irrequieta, non ama la casa dove lavora come correttrice di bozze o come editor, così come non ama il lavoro, di medico di base, del marito, ma soprattutto non ama andare a mangiare la pizza con i suoi amici che trova un po' volgari. Deve avere problemi col sesso, perché più che il suo, immagina quello degli altri. Lei vorrebbe un po' sognare, ma il marito, quando gli racconta i suoi sogni, non li capisce, il che la infastidisce e se la prende con gli oggetti di casa che sono tutti da buttare. Si intuisce che i due non si capiscono, perché, secondo Emma, nessuno conosce nessuno.
La scopriremo sempre più stressata, senza una vera vocazione, neanche quella materna, anche perché non ama la maternità con un marito mediocre. Questa materia, che appartiene un po' a tutte le coppie di oggi, è stata utilizzata da Stefano Cordella con una particolare attenzione alla recitazione di Anhai Traversi e Pietro De Pascalis, utilizzando, in scena, una parete bianca, dalla quale fa spuntare, come un fantasma, Emma.
Al centro c'è un divano ottocentesco, a lato un ritratto di donna d'epoca, rimandi visibili al romanzo di Flaubert.Il suo lavoro è stato certosino, come quando si lavora dinanzi a scene di matrimonio complesse, sempre instabili, sempre sul punto di sfasciarsi, perché in cerca di una felicità difficile da conquistare.