Il macabro codice degli ultrà «Ogni agente ucciso è un gol»

Parlavano così dell’ispettore morto a Catania i 13 tifosi arrestati ieri: «Uno a zero, facciamone fuori un altro»

Antonio discute con la sua fidanzata, ultrà anche lei. È proprio quest’ultima che al telefono, riferendosi (secondo la Digos) alla morte dell’ispettore Filippo Raciti ucciso negli scontri del 4 febbraio scorso, ripetutamente esclama: «Ne voglio uccidere un altro, perché sono troppo pochi. Ancora stiamo solamente 1-0». In altre telefonate si parla di «2-0 per noi», ma il riferimento è a due agenti feriti. Il capo ultras Marco L. incoraggia così, il 22 marzo, Giovanni C. a lottare con il gruppo Anr. «Non l’hai capito? Io tifo gli Anr non tifo il Catania. Lo dirò sempre (...). Il Catania non è la mia squadra, gli Anr sono la mia squadra. Cioè io sono un ultras fratello, a me il calcio non mi piace... me ne sono accorto, sto male se mi vedo una partita di pallone, con la tachicardia perché poi tifi per una squadra e stai male... si mangia l’azione!»
E ancora. «Almeno se tifi per un gruppo ultras so che tanto prendiamo le botte, non le prendiamo, quindi vinciamo, perché se faccio parte di un gruppo ultras, il migliore in Italia, fratello.... perché sono i migliori... in tutti gli altri c’è paraculismo. Quelli grandi, no? Che fanno quelli grandi, Giò? Loro fanno troppe chiacchiere con la polizia...».
«DEVONO MORIRE COME RACITI»
In un altra telefonata intercettata, a proposito dell’arresto di Lorenzo M., leader degli Anr, Marco L. va oltre. Fomenta il suo interlocutore contro le forze dell’ordine: «Hai capito, quando puoi dare colpi fratello? Se sei in netta superiorità, gli devi dare colpi proprio per distruggerli. Tu (poliziotto, ndr) mi picchi allo stadio? E io ti aspetto sotto casa. È l’unica Giovanni, perché sono una massa di figli di puttana (...). Mi possono pure sentire, fratello, tanto mi hanno arrestato per lesioni e oltraggio, sanno come gli posso spaccare la testa, fratello. Nelle mani di Marco L. possono solo morire questi bastardi di merda. Tutti la fine di Raciti devono fare»
«IN 200 PER FARE LA GUERRA»
Giovanni C. è sempre presente negli scontri più cruenti degli ultras catanesi in giro per l’Italia. L’11 marzo 2007 dice al collega ultrà Santo S.: «Noi siamo contro tutti... tu lo sai, noi siamo gli Anr fratello». A seguire - scrive la Digos - Giovanni invita a uccidere qualche poliziotto: «Guarda, a me... anche se mi diffidano... mi arrestano... se mi fermano e non partirò, comunque i ragazzi li guiderò fino alla fine. Glielo spiegherò io tutti i treni che si devono prendere, quello che debbono fare, come arrivare, se debbono andare dentro una curva, caricare... se devono fare. Minchia se li guiderò».

E di seguito. «Certo che se mi diffidano veramente... io come faccio? Mi tolgono la vita... mah». Più avanti. Il gruppo, dice il capotifoso, «è composto da un’ottantina di persone, ma possiamo arrivare a 200, questo sì che è un buon numero per fare la guerra». Soliti noti e insospettabili: «Durante la settimana liberi professionisti, la domenica tutti teppisti». Vito A., sostiene la Digos, partecipa attivamente alle violenze allo stadio e agli scontri coi tifosi del Messina. È segnalato persino nei disordini nella seduta del consiglio comunale dedicata al Catania calcio. Al cellulare incita a scrivere frasi sui muri contro la polizia e a creare tafferugli in aeroporto. Scrive un sms all’amico Koala, il Capo, poi arrestato. «Onore a chi l’Anr l’ha sorretta, voluta bene, amata, rischiando anche la propria pelle e l’ha portata ovunque come un padre come un figlio di 7 anni. Onore a te Koala, con la tua diffida è finito tutto. Non si può immaginare una trasferta senza te!».
«UBRIACHI SI PICCHIA MEGLIO»
Con riferimento ai disordini nei quali morì Raciti, Alain D. dice a Damiano S.: «Sai, con noi c’era un ragazzo di Roma, pure camerata, ha fatto un manicomio.

L’ho fatto ubriacare, ha bevuto circa 15 birre di seguito, non capiva più niente! La differenza è che quando tu sei di fuori, tu sai che se anche vieni ripreso con le telecamere è più difficile che ti vengano a prendere a casa perché non ti conoscono (...). E comunque, questo ragazzo ha fatto un manicomio. Può avere al massimo, 23-24 anni».

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