Nel 1979, al termine della travagliata esperienza della «solidarietà democratica» e dei governi Andreotti di unità nazionale, Giorgio Napolitano, nei tre anni precedenti portavoce del Pci sui temi dell’economia e del sindacato, pubblicò un libro significativamente intitolato In mezzo al guado. Lì, secondo il leader riformista, si trovavano inchiodati i comunisti italiani: a metà strada fra cultura di governo e richiamo dell’opposizione, fra riformismo e ideologia, fra modernità e conservazione.
E in mezzo al guado, più di trent’anni dopo, si ritrovano oggi gli ultimi eredi di quel Pci che non seppe mai fare i conti con il riformismo. Ora che guida con saggezza dal Quirinale il giardino d’infanzia della politica italiana, Napolitano forse sorriderà a quel lontano ricordo. È la terza volta - dopo i governi De Gasperi degli anni ’40 e Andreotti degli anni ’70 - che la sinistra partecipa a coalizioni di unità nazionale. Le prime due mancò volontariamente l’occasione di rompere con la tradizione comunista ed entrare nella grande famiglia socialdemocratica; oggi, nonostante l’esperienza di governo dell’Ulivo e la nascita dello stesso Pd, la tensione interna fra innovatori e conservatori è talmente forte che il guado rischia di trasformarsi in un terremoto.
Sembrava che il governo Monti dovesse mandare in crisi il Pdl, orfano di palazzo Chigi e privo dell’alleato di sempre, la Lega; a sinistra, al contrario, la situazione di partenza pareva migliore: Di Pietro ha votato la fiducia, Vendola e la Camusso non si sono messi di traverso, anzi. Ma è bastato parlare di pensioni e tutto è saltato per aria. «Monti ci ascolti», ha implorato ieri Bersani. Metà della sua segreteria (e forse più) è contraria a toccare le pensioni di anzianità, l’altra metà del partito sta con Monti «senza se e senza ma». Fino a che il duello si svolge sui giornali, Bersani può sperare in un compromesso: ma sarà molto difficile reggere l’impatto della piazza, quando la Cgil chiamerà allo sciopero generale contro la riforma del governo.
Proprio perché è ancora in mezzo al guado, il Pd è un vaso di coccio. Caduto l’alibi dell’antiberlusconismo, ogni forza politica è oggi costretta ad entrare nel merito, ad affrontare i problemi per quello che sono, a togliersi gli occhiali dell’ideologia e a mostrarsi per ciò che realmente è. Se è difficile dire oggi in Italia che cosa sia «destra» e che cosa «sinistra», è invece chiarissimo il solco che divide i conservatori dagli innovatori.
Comunque si giudichino la crisi, le sue cause e le ricette per uscirne, è evidente che senza una profonda riforma del Welfare all’italiana, sprecone e iniquo, non è possibile alcun rilancio del Paese. La conservazione dell’esistente equivale alla scelta della bancarotta. Il paradosso è che queste cose la sinistra italiana le diceva 15 anni fa, quando D’Alema provò a importare in Italia la «terza via» aperta da Tony Blair in Gran Bretagna. Vinsero i conservatori, guidati da Sergio Cofferati, e da allora è il massimalismo della Cgil a dirigere la sinistra italiana, soffocandola. Ai tempi dell’altra solidarietà nazionale, quella di Andreotti, alla guida del sindacato c’era un grande riformista, Luciano Lama.
E Berlinguer parlava dell’austerità come dell’«occasione per trasformare l’Italia». Di riforme ce ne furono poche, ma l’Italia bene o male si salvò.
Il Pci perse l’occasione storica di diventare socialista, e il sistema s’imballò fino a disintegrarsi sotto i colpi delle Procure. Non è cambiato molto, e oggi la sinistra è ancora in mezzo al guado: di qua la modernizzazione del Paese, di là la conservazione dell’esistente; da una parte le riforme, dall’altra la protesta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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