Macché poesie, Nichi fa romanzo criminale

di Tony Damascelli

E io che pensavo che la Fabbrica di Nichi fosse una cosa squisitamente poetica. E poi ho ripensato che la poesia è nei fatti, come lo stesso Nichi scrive e afferma. Il problema è che a forza di riflettere «sulle pause insonni del mio tempo perduto: un quarto di secolo a cercare e sillabare orizzonti di senso, a intrecciare ghirlande di dolore, a spiare la meccanica delle onde», il poeta ha avuto il tempo anche di occuparsi, mentre il mare mugghiava, di quel professore di medicina da sistemare, almeno secondo chi si sta occupando della vicenda di un ospedale barese, il San Paolo. Dicono gli studiosi del Vendola che ci sia un alito leopardiano nei versi, non so se si riferiscano a quelle righe di A se stesso, «Perì l'inganno estremo, ch'eterno io mi credei», ma non è il caso di filosofeggiare, trattandosi, alla fine, di una volgare cosuccia umana, un concorso in abuso di ufficio, per voce e scrittura, in un memoriale o verbale, della bionda Lea Cosentino, ex direttore generale della Asl di Bari, la quale, in forma prosaica e poco poetica, è rimasta coinvolta e sconvolta dallo scandalo della sanità pugliese. Per il governatore diventa aspra la narrazione di questa storia anche se la serenità lo accompagna, perché sempre cara gli è questa terra, un po' meno certi abitanti della medesima. La politica, ahinoi, ahilui, è cosa brutta, la macchina del fango trascina anche anime candide, basta una vasca di cozze pelose per fare affogare, oltre ai preziosi mitili, un'idea, a volte un'ideologia. Basta che una donna si metta a parlare e la poesia va a farsi friggere nell'extravergine di mille uliveti pugliesi, basta che la fedelissima del vate snoccioli il manuale di assunzione e promozione dei camici bianchi e la rima non è più baciata, semmai è un bacio di Giuda Iscariota. È la vita, anche se l'arte affabulatoria di Nichi Vendola resta affascinante anche se blesa nella pronunzia, convince chi si aspetta un comizio e si ritrova a mulinare le mani dentro una nuvola di parole, così portando alla riflessione, così scaldando il cuore e non la pancia. E poi? Tutto questo è vero, sacrosanto ma qui stiamo a trattare della Finanza che si presenta al domicilio del suddetto, di vendette, almeno così sostiene l'indagato illustre, di una donna animata da forte risentimento, perché licenziata dallo stesso, alla faccia dell’articolo 18, madre di tutte le battaglie sindacali e politiche, ieri, oggi e domani. È il contrappasso, E, a rafforzare il concetto, Vendola ricorda che ogni suo intervento, in argomento concorsi e affini, era rivolto allo slogan che un tempo si usava per le competizioni sportive «che vinca il migliore». Se poi il vincitore, per caso e segno divino, appartenga, appartenesse alla fazione del poeta, tanto meglio, le affinità elettive sono una cosa quelle elettorali, un'altra.

La Puglia di Vendola è anche questa, rivista e corretta, è la terra delle orecchiette con le cime di rave (mi raccomando la «v», non rientra nella tradizione culinaria ma fa tendenza, protegge le minoranze), è il circo minimo dei Tarantini e delle D'Addario, di Tedesco e di Emiliano, delle partite combinate dai calciatori baresi e dintorni, è la fiera del levante non perché vi sorga il sole ma perché ormai si leva tutto a chiunque, anche giocando in ospedale, con i malati e le loro urgenze, con le nomine e le nomination. Recita il titolo di un libro dello stesso Nichi Vendola :C'è un'Italia migliore. La domanda sorge spontanea: lontano dalla Puglia?

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