«Macché premio Nobel Preferisco imparare dal grande Simenon»

«Macché premio Nobel Preferisco imparare dal grande Simenon»

Molti in Irlanda pensano che John Banville sia uno scrittore da Nobel. Ma, in attesa che l’Accademia di Stoccolma lo premi per la sua produzione «alta», lui si è costruito una fortunata carriera di giallista siglando una serie romanzi con lo pseudonimo di Benjamin Black. L’Italia è l’unico Paese al mondo dove, per insistenza dell’editore Guanda, queste storie sono uscite senza l’uso del nom de plume. E romanzi come Dove è sempre notte, Un favore personale e Congetture su April hanno dimostrato che l’appellativo di «Simenon d’Irlanda» non è esagerato. La recente pubblicazione di Un giorno d’estate (pagg. 288, euro 18) e l’imminente presenza di Banville a «Libri Come. Festa del libro e della Lettura» (all’Auditorium Parco della Musica di Roma, dall’8 all’11 marzo) è l’occasione per farsi svelare qualche segreto della sua attività di scrittore di misteri. «Circa dieci anni fa - confessa Banville - mi venne commissionato un poliziesco in tre parti per la televisione. Quando scoprii che la cosa sarebbe andata a monte, decisi di trasformarlo in un romanzo. Questa è stata l’origine di Dove è sempre notte. Il mio agente, Ed Victor, aveva già suggerito che avrei potuto prendere in considerazione di scrivere polizieschi, quindi il seme già c’era. Intorno al 2004 cominciai a leggere Simenon e ne fui molto colpito. Così pensai di sviluppare un ciclo simile a quello dei suoi “romanzi duri”».
Che cosa l’affascina della letteratura gialla?
«Sono sempre stato un lettore di letteratura poliziesca, fin dall’infanzia, quando amavo John Dickson Carr, Dorothy L. Sayers e, in misura minore, Agatha Christie. Più tardi mi sono orientato verso Dashiell Hammett, Raymond Chandler, James M. Cain e l’ultimo Richard Stark. Credo che alcuni dei migliori romanzi del XX secolo siano stati scritti dai giallisti. Il postino suona sempre due volte di Cain e Butcher’s Moon di Richard Stark sono magistrali. La scrittura poliziesca non è molto considerata da voi in Italia. Ed è strano, quando si pensa a Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri, e a Moravia, a Gadda...».
Quanto al «Simenon d’Irlanda»?
«Ne sono lusingato. Anche se ammetto che non potrei mai raggiungere l’economia e l’immediatezza del suo stile, che sono le grandi doti di Simenon. Lui sapeva impostare un’intera scena in due righe. Il suo era un dono magico, il segno del genio. Mi sento vicino a lui come temperamento, artisticamente. È realistico, lucido, spassionato e disincantato. Qualità cui aspiro nei miei noir».
Quanta realtà e quanta finzione c’è nei suoi gialli?
«I miei libri sono sempre il più realistici possibile, ma naturalmente sono interamente inventati... Più invecchio e più mi sembra che lo scrittore di romanzi sia un sognatore con una grande disciplina. Ho inventato storie per tutta la vita, ma trovo che sia ancora un processo profondamente misterioso. Da dove vengono, queste persone immaginarie che sembrano avere vita propria? Li ho evocati con l’immaginazione, e non sembrano esistere al di fuori delle parole, eppure sembrano molto reali. Molto strano».
Quanto conta lo stile?
«Lo stile dei romanzi di Benjamin Black è il più disadorno e distaccato che riesca a ottenere. C’è una bella storia che riguarda Simenon. Un giorno, uscendo dal suo studio con in mano il dattiloscritto di un romanzo lo scosse vigorosamente. E quando gli chiesero cosa sta facendo, disse “mi sto sbarazzando degli aggettivi”. Come Banville sono innamorato dell’aggettivo, ma Black deve seguire l’esempio di Simenon meglio che può. Quanto all’ambientazione e ai personaggi, sono ancor più frutto della fantasia nei libri gialli che nei miei altri romanzi. Nei libri di Banville i personaggi e lo sfondo sono in larga parte generati dal linguaggio, ma nei libri gialli l’invenzione è più cerebrale, più pratica».
Com’è nato Un giorno d’estate?
«Non ho mai capito come nascono le mie storie. Forse la psicanalisi potrebbe spiegarle».
Come ha cercato di distinguere il suo anatomopatologo Quirke dai precedenti al femminile Kay Scarpetta o Temperance Brennan?
«Non ho letto mai letto né Patricia Cornwell né Kathy Reichs, quindi...

Ciò che rende le cose ancora più facili per me è il fatto che i libri sono ambientati nel 1950, molto prima della rivoluzione tecnologica nel campo dell’anatomia patologica. Quirke è una sorta di dilettante, in medicina e nella lotta alla criminalità. Mi piacciono i dilettanti, visto che lo sono anch’io».

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