È daccordo con il ritorno del maestro unico e appoggia lidea delle classi di soli stranieri. Graziana Benesperi, segretaria dellassociazione maestri italiani, non è una fanatica che sostiene le bandiere politiche né ripete gli slogan preconfezionati dai comitati e imparati a memoria per le manifestazioni in piazza. Lei parla con cognizione di causa. Ha alle spalle trentanni di insegnamento alle elementari: in zona Barona e poi in via Scrosati. Ha insegnato a leggere e a far di conto a generazioni intere di bambini. E ha le idee chiare, sue, non frutto di indottrinamenti.
«Sono per il ritorno al maestro unico - spiega - perché penso soprattutto ai bambini. Mi sembra che ora siano caricati di troppe nozioni, un bombardamento continuo di conoscenze, la mattina con uninsegnante e il pomeriggio con unaltra. Un tempo si instaurava un rapporto diverso». Gli alunni di una volta erano meno stressati. Ancora la chiamano per dirle che si sposano, che hanno figli, che hanno ritrovato una vecchia foto della quinta B. E lei non può che pensare ai bambini di una volta e a quelli di adesso: «Ora sono stanchi, hanno troppe figure di riferimento a scuola, passano troppo poco tempo a casa e per di più non escono dalle elementari preparati come una volta». Parole di una maestra di vecchio stampo che si rifugia in ricordi nostalgici? Nientaffatto. La maestra Benesperi spiega quanto sia importante lasciare del tempo ai bambini per studiare da soli: «Ognuno deve trovare il suo metodo - racconta - cè chi ripete ad alta voce e chi sottolinea le pagine del sussidiario. A scuola si usa un metodo unico per tutti. Anche i tempi di assimilo sono diversi da un alunno allaltro ed è giusto che ognuno trovi il suo stile di studio». Anche il discorso sulle classe per stranieri, ribattezzate classi-ghetto «è demagogico» secondo la maestra delle elementari di via Scrosati, in pensione da questo anno scolastico. «La scuola, si sa, è un ambiente di sinistra, e circolano certe idee». «È una follia - sostiene lei - inserire i bimbi appena arrivati in Italia in classe con gli altri. Si trovano a non capire mezza parola e scaldano il banco senza imparare». Invece, una «classe ponte» può essere utile per insegnare agli stranieri le prime parole italiane, i nomi degli oggetti, le frasi. «Lintegrazione si fa allintervallo nei corridoi - sostiene, per esperienza, la Benesperi -, durante lora di ginnastica, a pranzo». Insegnare un po di italiano è un passaggio fondamentale, non è creare un «ghetto». «Dopo 5-6 mesi - conclude il suo ragionamento la maestra - sono in grado di essere inseriti in classe con gli italiani». Anche lidea del tutor, voluto da Letizia Moratti quando era ministro dellIstruzione, secondo la maestra era una buona idea. «Per noi insegnanti - spiega - soprattutto per quelle più giovani era un buon aiuto.
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