Marta Allevato
Skopje - Skopje ha nostalgia di un dittatore che «rispettava la sua identità». Ha un sogno che si chiama Europa. E un nemico che si chiama Grecia. Skopje è la capitale di uno Stato senza nome, a caccia di riconoscimenti. È qui che ti accorgi come l’antico odio che contrappone Grecia e Macedonia non accenni a stemperarsi. Fin dalla sua indipendenza nel 1991, Skopje è in disputa con Atene sul nome ufficiale del Paese. Il governo greco non vuole che sia utilizzato il nome Macedonia, perché il termine, di origine greca, era già in uso per indicare la regione greca Macedonia. Le Nazioni Unite hanno poi riconosciuto la Repubblica nel 1993 con il nome di «Former Yugoslav Republic of Macedonia», Fyrom.
Non importano le aperture di questa estate del presidente Branko Crvenkovski a un possibile compromesso sull’annosa disputa del nome. Non importa che la Grecia continui, da più di 15 anni, a fare ostruzionismo in sede Nato e Ue sull’ingresso della giovane repubblica ex jugoslava. La determinazione di vedersi riconosciuti come i legittimi eredi di Alessandro Magno e del suo impero prevale su tutto.
Nei bar tra gli anziani con alle pareti il calendario del maresciallo Tito, come nei ristoranti più alla moda della città e nei palazzi del potere il discorso è uno solo: la Macedonia non è disposta a cedere. È lo stesso ministro degli Esteri, Antonio Milosovski, a spiegare il concetto: «Auspichiamo una soluzione, ma non un’umiliazione». «Se dovessimo cambiare il nostro nome - dice una fonte governativa - il consenso popolare all’adesione Ue e Nato scenderebbe dal 76% attuale a un 10%».
Che i macedoni siano ben lontani da ogni possibile cedimento lo dice già il tuo arrivo all’aeroporto di Skopje, intitolato appena un anno fa ad Alessandro il Grande. Come il celebre conquistatore si chiama gran parte della popolazione cittadina (circa 700mila abitanti). A lui sono dedicati anche l’albergo più grande, vini e molti negozi.
Il contenzioso tra i due popoli si combatte anche in sedi meno ufficiali di quelle internazionali. Al ristorante Lyra con Eva, impiegata nella diplomazia, non te ne accorgi neppure e la conversazione passa in un attimo sulla lotta per l’identità macedone. «Volevo comprare casa in Grecia per trascorrervi l’estate, ma da quando al vertice Nato di Bucarest Atene si è opposta alla nostra adesione ho cambiato idea». Dall’altra parte del tavolo, Vesna, impegnata nella cooperazione, racconta: «A luglio ero a Salonicco. Sono entrata in un ristorante vuoto, ho chiesto in macedone di poter pranzare e mi hanno detto che non c’era posto!». Angel, giornalista di Tetovo, ha diversi amici greci, «ma se siamo a tavola insieme finiamo col discutere». Si arriva ad alzare il tono di voce anche solo se «uno chiama Alessandro “il Greco”, come insegnano nelle loro scuole, e non “il Macedone”, come invece studiamo noi qui».
Fuori da ristoranti e luoghi di villeggiatura, le provocazioni assumono dimensioni maggiori. A giugno il presidente Crvenkovski non ha potuto partecipare a una riunione dei Paesi del Sud-est europeo ad Atene, perché le autorità hanno rifiutato il permesso d’atterraggio al suo aereo con esposta la bandiera macedone. A Salonicco, dove lo scalo internazionale si chiama, guarda caso, «Macedonia», i camionisti che fanno spola dal porto greco a Skopje sono costretti dalla polizia a coprire la scritta identificativa Mak sui loro tir. «Lui non avrebbe mai permesso questa vergogna» dice Vasko, che gestisce un negozio di anticaglie della guerra partigiana contro i nazisti. E il riferimento è al leader di quella lotta: Josip Broz Tito.
Il sole stilizzato a otto raggi (la bandiera macedone oggi) è una ferita non rimarginata. È ancora sentita come un’umiliazione, accettata da Skopje per dare un segnale di buona volontà alla comunità internazionale. Dal 1992 al 1995 era il sole di Verghina a rappresentare la giovane nazione. Ma il simbolo regale di Filippo II, padre di Alessandro Magno, e il richiamo a quella che nel IV sec a. C. fu la prima capitale dell’antica Macedonia era troppo per Atene, che vi vede un suo patrimonio culturale inalienabile. La bandiera nazionale cambia e ora si cerca di guardare avanti. «Anche il sole è una stella» è lo slogan usato dal governo per promuovere l’adesione all’Ue.
Visto dall’Europa occidentale il contenzioso è tra i più curiosi nelle relazioni internazionali. Eppure si tratta di una seria limitazione per la Macedonia, indipendente solo da 17 anni: ne ha prodotto il ritardo del riconoscimento internazionale, un’integrazione rallentata.
La questione è campo di scontro all’interno dello stesso governo macedone.
Prima dell’Assemblea generale Onu, a fine settembre, il presidente e il suo primo ministro, Nikola Gruevski, si sono attaccati su chi dei due avesse il diritto di negoziare con la Grecia per il nome. Il partito di Crvenkovski, più aperto al compromesso, detiene il 15% dei seggi mentre il premier, con posizioni più intransigenti, è popolarissimo e controlla oltre il 50% del Parlamento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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