Madoff, in famiglia la maledizione del crac

Le storie nere lasciano sempre una scia. Quella dei Madoff è un guinzaglio da cane appeso alla trave di un appartamento da ricchi di New York. Hanno appena tirato giù Mark. Morto. Impiccato al soffitto di casa e a una vita che negli ultimi due anni era un’altra cosa. Due giri di calendario interi e precisi. Perché era il 10 dicembre (...)
(...) allora ed è stato il 10 dicembre adesso: nel 2008 fu il giorno dell’arresto di Bernie, il finanziere più truffaldino della storia d’America; nel 2010 è il giorno della morte di suo figlio. Il primo. Il guinzaglio è il filo che lega tutto perché fu Mark a denunciare il padre: accusatore, testimone, coindagato ma libero forse proprio perché grazie a lui fu preso il suo Bernie. Forse, perché in questa storia non ci sono certezze e non c’è verità assoluta se non quella che la truffa Madoff sia stato un colpo al cuore di un Paese che stava affrontando la crisi finanziaria più dura degli ultimi ottant’anni e si ritrovò contemporaneamente dentro i magheggi di questo signore diventato ricco fregando gli altri. Tanta gente. Tantissima gente.
Mark s’è appeso, poi ha dato un calcio alla sedia che lo sorreggeva. Di là, dall’altra parte della porta, c’era il figlio di due anni. Dormiva, pensando di avere ancora un padre. Non ce l’ha più lui e non ce l’ha più il fratellino che in questi giorni era con la madre in Florida. È stata lei a immaginare che qualcosa di brutto stava accadendo. Troppo strana quella mail, l’ultima che il marito le aveva spedito: «Qualcuno dovrà controllare il piccolo». Mark è stato trovato dal suocero avvertito dalla figlia. Pendeva portandosi il peso di questa storia enorme e complicata che tiene dentro affari pubblici e vicende private. Perché i Madoff erano tutto e adesso non sono niente. Spariti dalla coscienza, cancellati per disonore: l’America li ha considerati la feccia della feccia. Allora adesso lungo quel guinzaglio che regge questa storia ci sono le domande alle quali non ci sono risposte: perché? Vergogna? Senso di colpa? Rimorso? Ci sono famiglie in cui ci si incolpa da innocenti pur di non vedere un proprio parente finire in carcere. E ci sono altre in cui si scarica la colpa sul responsabile per salvare se stessi. Dove stava Mark? Non lo sa nessuno. «Innocente», ha sempre detto. Sì, lui e suo fratello lavoravano col padre, ma in una divisione diversa da quella interessata dalla truffa. Così diceva. Eppure era indagato con il fratello Andrew e con lo zio Peter. Irving Picard, il liquidatore incaricato dalla giustizia americana di recuperare il denaro delle vittime di Bernard Madoff, lo denunciò nel 2009: lo accusava di non avere scoperto la truffa e di non essersi interrogato sulla provenienza del denaro che finanziava il suo lussuoso stile di vita. A lui rinfacciavano soprattutto di aver speso 66 milioni di dollari (49,8 milioni di euro) per acquistare delle proprietà prestigiose a New York, nel Connecticut e a Nantucket.
Possibile che fosse davvero allo scuro di tutto? Lui aveva ricostruito così: Bernie un giorno confessò ai figli che la sua intera fortuna, e la loro stessa, si reggeva su una menzogna. I loro miliardi, gli incredibili interessi che la finanziaria Bernard L. Madoff Investment Securities LLC riusciva a fruttare, altro non erano che il frutto di un enorme «schema Ponzi». Si tratta di quel sistema (inventato nel 1920 dall’italo-americano Charles Ponzi) tale per cui, attraverso un complesso gioco finanziario pressoché invisibile, è possibile pagare alti interessi agli investitori, ma solo grazie al continuo afflusso di nuovi fondi da parte di altri investitori. Mark il giorno dopo lo andò a denunciare: il giorno in cui cominciò e finì tutto. Però nessuno c’ha mai creduto fino in fondo. Il dubbio è rimasto, con tutta la rabbia che l’America ha maturato nei confronti dell’intera famiglia. Madoff. Un cognome da marchio d’infamia. Un cognome da togliersi. Perché è sbagliato, insopportabile, vergognoso. La moglie di Mark pochi mesi fa aveva avviato le pratiche per cancellarlo dai documenti dei suoi, del marito e dei figli. Il disonore di avere lo stesso sangue di Bernie non può cadere sui nipoti. Che c’entrano con la storia del nonno? Sessantacinque miliardi di dollari di ignominia: a scuola, all’università, nella vita, sarebbero sempre truffatori nati, i figli dei figli di uno spregevole, le piccole canaglie. Mark aveva firmato quei documenti, ma non ha fatto in tempo a morire con i connotati nuovi. È morto da Madoff a 44 anni con i segreti di una storia che non è finita.
Non tutti credono al suicidio. Non i giornali che usano espressioni tipo «apparentemente si è tolto la vita». Certo che ci sarebbero migliaia di potenziali assassini: i truffati del padre non hanno mai creduto che i figli fossero innocenti. Lui l’ha sempre detto, a volte persino gridato. Gli avvocati dicono fosse ossessionato dall’arrivo del 10 dicembre, dal ricordo dell’infamia arrivata di colpo e mai più andata via. Le domande restano sempre senza risposta: perché? Vergogna? Senso di colpa? Rimorso? Non lo sapremo. La verità la sanno uno che deve passare altri 149 anni in cella e da uno che non c’è più. Ma forse la verità non la vuole cercare nessuno: per l’America da tempo sono tutti colpevoli, in quella famiglia. Bernie, la moglie, i figli.

La ricchezza nata da una truffa non viene giustificata neanche se è inconsapevole. Madoff e i suoi sono stati la foto da stropicciare dicendo che non esisterà più nessuno diabolico come loro. Un suicidio non cambia le cose, la pietà per un morto neanche.

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