Madonna della melagrana. Frutto prezioso di Ferrara

Riapre il Museo della Cattedrale. E l'opera di Jacopo della Quercia spicca in un nuovo allestimento

Madonna della melagrana. Frutto prezioso di Ferrara

Riapre, e finalmente, il Museo della Cattedrale di Ferrara, da tempo trasferito nella Chiesa di San Romano con l'intimo chiostro dalle variegate colonne. Fu uno dei luoghi prediletti della mia formazione, quando era ancora inerpicato in uno spazio angusto e residuale tra la facciata romanica e il corpo settecentesco del Duomo: uno spazio scomodo e perfetto, ritagliato nel 1929, dove stavano affastellati capolavori inarrivabili trasferiti da funzioni e anditi perduti della chiesa.

Dipinti e sculture erratiche, anche se per pochi metri. E si tratta delle cose più belle: le ante d'organo di Cosmè Tura con la capricciosa Annunciazione, immaginata dentro uno spazio aulico con le colonne, le volte e i rilievi dorati, e il San Giorgio e la Principessa, di prepotente energia vitale. Ma non meno travolgenti, nella finissima esecuzione, con dettagli di meraviglioso naturalismo, i Mesi di un anonimo maestro, amico di Benedetto Antelami, attivo intorno al 1230, nella porta laterale, smontata quando si resero stabili e in muratura le logge dei merciai, poco più che bancarelle provvisorie, che nel Quattrocento divennero parte integrante dell'architettura. Anticipando gli schemi delle favelas sudamericane. Un esempio unico di edificio monumentale aggredito dall'abusivismo prepotente, ma, a distanza di secoli, commovente e vivo. Architettura spontanea e popolare sotto l'imponente e solenne campanile di Leon Battista Alberti, di classicissime forme.

Per lasciare spazio a quelle povere logge fu smontata la grande porta dei Mesi e fortunatamente salvate le sue formelle, tra le cose più preziose della scultura medioevale nella Pianura Padana. Fu Giuseppe Agnelli, illustre studioso e direttore della Biblioteca comunale Ariostea, a istituire il Museo per accogliere queste preziose testimonianze. Era meraviglioso arrampicarsi fin lassù, e conquistare quelle opere preziose. La nuova sistemazione nella chiesa di San Romano del 2000 rese meglio visibili le tante reliquie, esponendo nella chiesa i grandiosi arazzi con le Storie dei santi Giorgio e Maurelio, intessuti tra il 1551 e il 1553 da Johannes Karcher su disegno del Garofalo e di Camillo Filippi. Nella sala d'entrata sono esposti i codici miniati tre-quattrocenteschi (un innario, un salterio e ventidue corali atlantici rinascimentali, illustrati da Guglielmo Giraldi, da Jacopo Filippo Argenta, Martino da Modena, di evidente derivazione dal caposcuola Cosmè Tura - memorabile il profeta che stringe il cartiglio, svolto come una pellicola -, Giovanni Vendramin e don Sigismondo da Fiesso), materiali lapidei vari, tra i quali i resti di un ambone dell'VIII secolo, proveniente da Voghenza, e un ritratto di Giovanni Bessarione in bassorilievo, dopo la sua presenza in città durante il Concilio di Ferrara (1438).

Molto colpiva la mia fantasia di adolescente la lastra con l'apologo dell'unicorno narrato da Barlaam. Concepito da maestri campionesi, il bassorilievo illustrava la vanità delle cose mondane: un uomo fugge inseguito da un unicorno (la morte) e cade in una fossa (il mondo); si arrampica su un albero (la vita), ma si accorge che un topo bianco e uno nero (il giorno e la notte) ne rodono le radici; sul fondo della fossa un drago (l'inferno) si agita sotto di lui.

La riapertura del museo coincide anche con il nuovo allestimento di un altro prezioso capolavoro che si presenta restaurato: la Madonna della Melagrana di Jacopo della Quercia. Tra le più precoci testimonianze del Rinascimento italiano, con Ghiberti, Luca della Robbia e Donatello alle origini della scultura moderna. Jacopo è un «artista di dimensioni internazionali né soltanto gotico, né già rinascimentale; ancora profondamente medievale, ma capace di intuizioni che scavalcano tutto il Quattrocento», come scrisse Luciano Bellosi. Così è, e appare dal potente blocco di marmo che da Carrara circumnavigò l'Italia, da un mare all'altro, per arrivare a Ferrara lungo il Po, ed essere modellato da Jacopo in città, in un fruttuoso soggiorno, avvicinandosi alla vita, alla natura, come intuì il Vasari: «fu il primo (...) che operando nella scultura con maggiore studio, e diligenza, cominciasse a mostrare, che si poteva appressare alla natura, ed il primo che desse animo, e speranza agli altri di poterla in un certo modo pareggiare».

Sulla scultura di Ferrara abbiamo informazioni assai puntuali e le recenti riflessioni di Giovanni Sassu, che le ha restituito vita con la nuova sistemazione. Commissionata all'artista senese nel 1403 dagli esecutori testamentari di Virgilio Silvestri, la Madonna fu collocata sull'altare di famiglia nell'antico Duomo nel settembre di tre anni dopo. L'iscrizione sul basamento, con la data 1408, è apocrifa, aggiunta probabilmente agli inizi dell'Ottocento. La Madonna Silvestri è dunque il primo punto fermo per la ricostruzione dell'attività di Jacopo della Quercia.

La scultura è stata sempre oggetto di grande devozione da parte dei ferraresi che, fin dal Settecento, la chiamarono «Madonna Bianca» o, più affettuosamente, «Madonna del Pane», in quanto nel rotolo della Legge che il Bambino stringe nella mano si identificava la caratteristica forma del pane ferrarese, nella parte terminale di una coppia. Il solido impianto, gli ampi volumi e la maestosità delle forme sono l'evidente omaggio alla scultura toscana, da Nicola Pisano a Giotto, ad Arnolfo di Cambio. Ma la forza della Madonna della melagrana si afferma anche al confronto con la coeva scultura gotica dell'Italia settentrionale, dai Dalle Masegne ad Alberto da Campione, il cosiddetto Maestro di Sansone. È palese nei particolari di semplice verità: la mano della Vergine che regge la melagrana, il velo che scende sul capo, la cinta della veste, la postura del corpo del Bambino che accompagna il morbido panneggio. La dolcezza e la forza di questa Madonna aprono la strada a Ilaria del Carretto in San Martino a Lucca, anch'essa viva, bella, innamorevole.

Con il restauro, curato da Fabio Bevilacqua, sono emerse inattese meraviglie, come i capelli d'oro della Madonna e del Bambino. Una Madonna bionda, che ti accoglie ora nella prima sala del Museo, solenne nella sua monumentalità, ma insieme familiare e affettuosa come una giovane madre, accogliente, non misericordiosa e distante.

Jacopo della Quercia è un figlio moderno, mai decorativo, del mondo gotico, e lo umanizza per istinto, non per forma e stile, che da quella nuova umanità derivano, oltre il tempo. È una madre che ci accoglie sulla porta di casa. La sua, la nostra. Prima figli che fedeli.

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