nostro inviato a Madrid
Chissà se lo scriverà ancora: «Madrid cabron, saluta el campeon». Parole e pensieri di Samuel Eto’o, che con la Spagna ha un conto in sospeso e con Madrid un conto aperto. Andò a vincere a Barcellona dopo essere stato scartato dai diletti del re: tutto partì bene, voluto e coccolato da Capello, aveva 15 anni e il Jefe ogni tanto lo castigava facendolo allenare da solo. Gli insegnava a tirar meglio: Samuel usava l’interno piede, Don Fabio lo faceva colpire di collo piede. Ma furono solo due mezze stagioni, sei presenze (3 in Champions), poi spedito a Maiorca e scaricato al Barcellona. Oggi Eto’o dice di sentirsi «spagnolo», nonostante tutto. Ritrovarsi nella città dei tormenti sarà una bella boccata d’aria per il suo orgoglio. Torna per la finale di Champions e per dire a Guardiola e al Barça: visto che non ero da buttare?
Ci saranno almeno undici buoni motivi (leggi Bayern) perché l’Inter non vinca la finale, ma certamente uno perché ci sia una squadra che trascina un popolo e un popolo dietro una squadra. Si chiama voglia di riscossa ed ha più forza e credibilità delle chiacchiere di Mourinho. Vedi la gente nerazzurra che sciama verso Madrid e ti incanti a scrutarne il sentimento, i languori e la macerazione portata da 38 anni (sconfitta con l’Ajax) di delusioni e da quasi 50 di attesa. O peggio: da chi non ha mai visto una finale nerazzurra.
Lele Oriali oggi sta accanto a Mourinho, quasi fosse un fratello di latte, con la stessa partecipazione con cui stava accanto a Mancini: «Il Bayern - ha detto - è arrivato in finale passando per il buco della serratura contro la Fiorentina, grazie a decisioni arbitrali molto discutibili». Ma è l’unico totem di una certa Inter rimasto in società: si giocò l’ultima finale contro l’Ajax a Rotterdam. Sta aspettando da allora il tempo della rivincita. Beato, sarà ancora a bordo campo. Gli altri, al massimo, in tribuna.
Ma immaginate come staranno gli altri: con Eto’o e Oriali fanno sette. Los magnificos siete de la venganza. Metteteci i tre epurati da Madrid: Wesley Sneijder spedito via per troppa abbondanza di stelle. Walter Samuel, arrivato come «the wall» e, dopo una stagione di 30 partite e due gol, cancellato come un muro diroccato. Ma, soprattutto, Esteban Cambiasso che nel Bernabeu ha sognato di vincere una coppa, ma con la camiseta del Real. Ed invece dopo un vai-vieni fra la seconda squadra e l’Argentina, è rimasto senza contratto: un’incompiuta durata 40 partite e neppure un gol. Questa storia madrilena sarà cosa loro, ma che penserà Diego Milito che, in Spagna e in Italia, ha passato anni da meteora, senza che nessun grande club capisse il valore dei suoi gol? Ed ora, a 31 anni si ritrova sulla cima dei desideri e alla porta di un mondiale.
Infine pensate alla riscossa di Javier Zanetti, l’uomo senza fine, più perdente che vincente, l’icona della volontà e dell’umiltà al servizio del sogno che traversa gran parte dei suoi compagni: forse è l’ultima occasione per giocare e vincere una finale di Champions. Qui c’è molto più di una riscossa.
Godetevela e vincete, dirà Mourinho. E sarà quello il momento del distacco: due settimane fa lo ha comunicato a Moratti, prima di svuotare l’armadietto di Appiano Gentile e disdire l’affitto della sua abitazione di Como. In tribuna, al Bernabeu, dovrebbe esserci anche Sinisa Mihajlovic. Mentre Guus Hiddink, l’altro candidato alla panca, si gusterà l’Inter in Tv: potrebbe essere sua se strapperà il contratto con la Turchia.
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