Maestri di scasso nella scuola per giovani ladri

In un’epoca in cui i criminali, prevalentemente quelli dell’est, hanno una certa dimestichezza con skimmer e microchip, in cui clonare carte di credito o duplicare codici bancomat sembra ormai un gioco da ragazzi, sapere che esistono ancora ladri della vecchia scuola romana maestri nell’aprire casseforti e serrature con i vecchi arnesi di lavoro fa un po’ sorridere. Ancor di più se i malviventi in questione si danno da fare per non mandare in malora il mestiere, trasmettendo ai più giovani la loro sapienza nell’arte dello scassinare. Abili a utilizzare qualsiasi attrezzo, ma non le armi, rigorosamente bandite dal manuale dei cassettari. Un po’ come nel film «I soliti ignoti», dove Totò spiega al resto della banda come mettere a segno un furto clamoroso.
Gestivano una sorta di «scuola», nella quale indottrinavano ladri meno esperti, i quattro maestri del crimine colti sul fatto dagli uomini della squadra mobile mentre cercavano di aprire la serratura dell’ufficio commerciale di una macelleria nei pressi di piazza Navona. Quattro nomi noti alla polizia, con una lunga lista di precedenti penali. Tanto che la notte della vigilia di Pasqua, al momento di colpire, erano pedinati dagli agenti, come del resto accadeva da tempo. E per loro non c’è stato scampo. Luigi Betti, 45 anni, Antonio Talinucci, 52 anni, Stefano Mastergiovanni, 40 anni, e Luciano Liquori, 51 anni, tutti di Roma, sono stati arrestati per concorso in furto e detenzione di attrezzi atti allo scasso e alla duplicazione di materiale. Con sè i quattro avevano delle piccole trousse contenenti tutto l’occorrente per far cedere qualsiasi serratura, ma è nell’abitazione di uno di loro, a Grotta Gregna, zona Tiburtino, che avevano allestito una vera e propria «officina del crimine» dove si allenavano a scassinare serrature, a trovare combinazioni di cassaforti, avere ragione di porte blindate, disinserire antifurti. Per farlo potevano contare su attrezzi di vario genere, alcuni tecnologici, altri costruiti artigianalmente: seghe, matrici di chiavi di ogni dimensione, spadini, stetoscopi, spessori calibrati oltre a «kit di tecnologia» da portare con sé al momento del colpo, come un dispositivo vibrante in grado di aprire ogni serratura o le cuffie collegate ad un meccanismo capace di individuare le combinazioni delle casseforti. E in caso di dubbi sulle procedure da seguire c’erano i libri, veri e propri manuali, ad indicare la via per non fallire.
Ma quella di sabato per la banda di cassettari è stata davvero una nottataccia. Prima di puntare la macelleria, infatti, avevano tentato di ripulire l’ufficio postale di via della circonvallazione Nomentana. «Avevano scelto quell’obiettivo - spiega Francesca Monaldi, dirigente della sezione reati contro il patrimonio e la pubblica amministrazione della questura - perché sapevano che aveva liquidità, ma qualcosa è andato storto, non sono riusciti ad aprire la serratura e hanno cambiato obiettivo dirigendosi verso piazza Navona». A bordo di due auto, così, senza essere persi di vista dagli agenti, i quattro sono arrivati davanti alla macelleria, dove contavano di trovare un bottino di circa 30mila euro custodito in cassaforte. Stavano forzando l’entrata, alle 4 del mattino, quando sono intervenuti i poliziotti della Mobile.

I malviventi non si sono persi d’animo, nonostante avessero con sé i kit tecnologici da asporto. «Non siamo scassinatori - hanno tentato di giustificarsi davanti ai poliziotti che li ammanettavano - questi arnesi ci servono a fare lavoretti per gli amici, per aiutarli quando rimangono chiusi fuori casa».

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