«La mafia ci aveva avvertito: non andate là»

«La mafia ci aveva avvertito: non andate là»

da Bali

«C’è stata l’esplosione, e poi ricordo tanta gente che ci correva incontro gridando “bomba, bomba, scappate scappate”. Ma scappare era impossibile, le strade erano intasate, c’erano feriti dappertutto». Debbie Van Muiden, australiana di Melbourne, era a Kuta in vacanza con le due figlie. Erano a poche decine di metri dal luogo di uno degli attentati. Non sono state ferite, ma sono in stato di choc. Quelli come lei colpiti dalle schegge, ma salvi, sono più di cento, una dozzina australiani e cercano di farsi coraggio l’un l’altro
Meno fortunata di Debbie è stata Vicky Griffith, che si trovava con il marito non lontano dalla piazza di Kuta, quando c’è stata l’esplosione. Così ha ricostruito i fatti il marito, Kim Griffith: «Dopo l’esplosione ho pensato “dobbiamo stare calmi, continuiamo a camminare e allontaniamoci”. Ma mentre dicevo questo a Vicky è scoppiata una seconda bomba, sarà stata ad appena due metri da noi. Ho sentito tutti che gridavano, ho cercato Vicky con lo sguardo e l’ho vista scaraventata a terra dall’esplosione. L’ho tirata su e ci siamo diretti sulla spiaggia. Ci siamo guardati negli occhi, con il sangue che ci colava a rivoli dal viso, felici di essere vivi».
Dal letto dell’ospedale, dove è ricoverata, Vicky ha ricordato: «L’esplosione mi ha letteralmente sollevata da terra e scaraventata oltre uno dei tavoli dei ristoranti della piazza. Sono atterrata su qualcuno, non so chi. Sono rimasta così finché mio marito mi ha tirato in piedi e mi ha trascinato fuori. Non riuscivo a camminare, pensavo di avere una costola rotta. Soltanto una volta all’ospedale mi hanno spiegato che il dolore che sentivo erano le biglie dei cuscinetti a sfera della bomba conficcate nella schiena».
Un cameraman australiano, Sean Mulcahy, si trovava a Bali per raccontare la storia della top model australiana Michelle Leslie, rinchiusa in carcere dopo essere stata trovata in possesso di due pastiglie di ecstasy. Mulcahy stava cenando in un ristorante a poche centinaia di metri dall’esplosione. «I feriti erano tantissimi, era una scena orrenda. Ho passato la notte girando tra vari posti. Da Kuta a Jimbaran, dove tre ore e mezzo dopo l’esplosione stavano ancora portando via i feriti come potevano».
Il suo ricordo dell’ospedale di Denpasar non è migliore. «Ero all’entrata quando a un certo punto si è fermato un camioncino tipo pick-up, che aveva sopra due persone buttate dentro come sacchi. Uno era sicuramente morto, l’altro ferito malamente. Li hanno caricati su una barella e portati dentro. La gente qui non riusciva a star dietro al numero di feriti».
Un inquietante racconto è emerso invece da uno sportivo australiano, a Bali per seguire un torneo di rugby. Alla televisione Abc ha raccontato che un suo amico australiano, che vive a Bali da una decina di anni, gli aveva detto: «Non uscire, sabato sera, e soprattutto evitate i luoghi turistici». Mick Collins, ha detto che l’avvertimento gli ha salvato la vita. «Siamo arrivati mercoledì. Giovedì il nostro amico, che è il riferimento del nostro club di rugby, ci ha detto che avevano trovato dei detonatori in giro e che alcuni dei suoi contatti che lui chiama la mafia di Bali, l’avevano avvertito di fare attenzione».
Collins ricorda bene le parole usate dall’amico. «Ci ha detto: con gli sportivi che arrivano dall’Australia, e con l’aria che tira, sabato sera non venite in città.

Non ce lo siamo fatto ripetere due volte e sabato sera ce ne siamo stati nella nostra camera di albergo. Quando poi abbiamo visto che gli attentati ci sono stati davvero, ci siamo spaventati a morte». Ma la morte era altrove.

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