Il prezzo vale il racconto. Dacia Maraini sa entusiasmare anche con poche pennellate. Rari tocchi di penna che hanno il gusto e il sapore della poesia, quella che alimenta il sentimento e scatena la rabbia. Quella che custodisce il rimpianto e nutre il rammarico. Parla di mafia la Maraini, e non è la prima volta. Stavolta lo fa però in modo inconsueto: un racconto di dimensioni ridotte ma suggestivo, toccante, appassionante anche per chi con la Mafia ha avuto la fortuna di non avere a che fare. Il racconto di una madre che visita la tomba del figlio, un pentito che l'onorata società ha punito secondo le sue inconfessabili e incomprensibili leggi: la morte.
È il racconto di un figlio bambino cresciuto alla svelta, troppo alla svelta per essere già finito dove l'immaginazione comune ci porta «il più tardi possibile». È il garbo di Dacia, è la Maraini più abile. La stessa che in altre pagine di altri libri ha sedotto e per fortuna non abbandonato. Tanto è vero che ritorna. Ed è la Maraini che vorremmo sempre, che non ci stanchiamo di leggere e che ci fa chiudere l'ultima pagina con la commozione assassinata in fondo al cuore per non lasciare trasparire i sentimenti.
Un cammeo, insomma. Purtroppo l'unico e questo è il peccato. «Sulla mafia» (Giulio Perrone editore, pp. 96, 9 euro) vale il prezzo per quelle pagine raffinate, il resto è retorica o qualcosa che vi si avvicina molto.
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