Mafia, toghe, politica e media: l’etica ad personam della sinistra

FURBETTI Santoro incassa 20 miliardi di vecchie lire? Per De Magistris è colpa di Berlusconi che lo censura

Giorni fa, la donchisciottesca Daniela Santanchè ha osato dire che l’intimità va rispettata anche nel mafioso. Se perciò cinguetta al telefono o parla d’alcova, l’intercettazione dovrebbe essere cancellata. Non so come le sia uscita. Forse riecheggia il Vangelo - non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te - o è il riflesso vecchio Piemonte (Daniela è di Cuneo) che rispetta l’uomo anche nel peggior nemico. Invece, la neo sottosegretaria all’Attuazione del programma è passata all’istante per una carogna complice di Cosa Nostra.
Esiste nel Belpaese un folto gruppo di paladini della legalità a chiacchiere che si attacca alla parola. Ci ricama sopra e la distorce per impiccare chi l’ha pronunciata. Specialisti del genere sono le sinistre e i dipietristi. Di recente, si sono aggregati gli iniziati di Farefuturo che si abbeverano alla dottrina etica di Gianfranco Fini. Con Santanchè, il primo a rabbuiarsi è stato infatti Fabio Granata, il più querulo dei finiani. «Frasi sconcertanti - ha detto -, il governo prenda le distanze». Di seguito, si è indignato il Pd: «I finiani si uniscano alla nostra richiesta ai ministri Maroni e Alfano di valutare le immediate dimissioni del sottosegretario per le inaudite dichiarazioni a difesa della privacy dei boss». Infine, l’Udc di Pierferdy Casini - «ci dica Alfano se condivide queste frasi» - e, ovviamente, i seguaci del pm immobiliarista che hanno chiesto per le spicce la testa della Santanchè senza aspettare le opinioni dei due ministri invocate dagli altri. Daniela non se l’è presa più di tanto, ricordando i successi antimafiosi del governo di cui è parte. Resta, che è nato un finimondo per un richiamo agli astratti principi di umanità doviziosamente evocati - specie a sinistra - per ogni genere di delinquenti, terroristi, bombaroli, talebani e guantanamici vari.
Anni fa ci fu una forzatura analoga per l’allora ministro dei Lavori pubblici, sempre del centrodestra, Pietro Lunardi. Era in Sicilia dove si dibatteva se bloccare gli appalti per impedire alle coppole di inserirsi nelle commesse. Di fronte alla prospettiva di frenare lo sviluppo e accelerare la disoccupazione, Lunardi, che è un ingegnere e un praticone, esclamò: «Con mafia e camorra bisogna convivere». Intendeva dire che prendeva atto del disordine isolano ma, per l’amor di Dio, non per questo bisognava condannarsi all’immobilità. La sinistra finse invece di equivocare. Violante tuonò: «Un ministro che dice queste cose non può restare al suo posto. Mai si era lasciato intendere un patto così esplicito tra potere politico e mafia». Un patto? Ma quando mai. Lunardi aveva solo detto che - mafia o non mafia - la vita continua. Non certo che non bisognasse combatterla. Finì, invece, nel tritacarne con la taccia di avallare la delinquenza. Le toghe si dichiararono «sconcertate, preoccupate, allarmate». Il pm emergente, Antonino Ingroia (vedi più avanti), aggiunse: «È proprio lo spirito di convivenza con la mafia che ha consentito a Cosa Nostra di diventare una macchina da guerra».
Insomma, un continuo equivocare per dare addosso. Ricordo, per inciso, che tre decenni fa quando le Br uccidevano più volte al giorno, l’allora ministro dell’Interno, il dc di sinistra Virginio Rognoni, pronunciò alla Camera una frase identica a quella di Lunardi: «Dobbiamo abituarci a convivere col terrorismo». Nessuno fiatò perché rappresentava la realtà. Il che, ovviamente, non era un salvacondotto né impedì a Rognoni di combattere la masnada senza sconti.
Rapida e invincibile nell’annichilire l’avversario, la sinistra si distrae del tutto se a farla grossa sono gli amici. L’ingegner Carlo De Benedetti, che del Pd è un portabandiera, si è segnalato da ultimo per due vicende. Il coinvolgimento in un’istruttoria penale - in veste di membro del Cda di una banca torinese - per presunti ostacoli frapposti all’attività di vigilanza di Bankitalia. Di fronte al sospetto - che avrebbe suscitato alti lai se rivolto, non dico al Cav, ma a un qualsivoglia della cerchia -, le faconde bocche della sinistra sono improvvisamente ammutolite e l’intero Gotha, dalla B di Bersani alla V di Veltroni, ha girato il capino. Il medesimo De Benedetti, nei giorni immediatamente precedenti alla sorpresa giudiziaria, aveva tenuto una celebrata «lezione sull’Italia» alla London School of economics. I giornali hanno riportato la polemica con D’Alema («Max è un caso umano») e alcune insolenze sul Cav. Sotto silenzio è invece passata l’agghiacciante visione debenedettiana dell’Italia da Napoli in giù. «Se facciamo qualcosa di serio per l’evasione fiscale - ha detto l’Ingegnere - il Mezzogiorno va al collasso. Nel Nord c’è un’area competitiva con la Baviera. Il Sud è completamente diverso. Non è una questione di razzismo. Ma per essere competitive alcune aree hanno bisogno di essere al di fuori della legalità». Tradotto: dobbiamo convivere con l’evasione fiscale in Terronia. Come con Lunardi per la mafia, è questo di De Benedetti un avallo in piena regola della delinquenza tributaria? O, come quello di Lunardi, è solo realismo? Inutile chiederselo. Nessuno ha stigmatizzato l’oratore. La destra per distratta idiozia, la sinistra - che si riempie la bocca di legalità - per il cinico calcolo di coprire uno dei suoi. Direte: essendo un privato, l’Ingegnere non ha obblighi di forma. Nossignori. De Benedetti è un’icona «politica» del Pd: è l’imprenditore di riferimento - il Cavaliere bianco, scriveva Scalfari incensandolo -; la tessera numero uno del partito; l’editore di Repubblica che detta la linea, distrugge le leadership, assale il Berlusca per la causa, sbandiera il vessillo della moralità. Ma, al dunque, sposa gli evasori.
Dicevamo di Ingroia. Se il Cav critica i magistrati, sferza il Csm, bastona la Consulta, Antonino urla indignato: vergogna, non ha il senso delle istituzioni. Bene, giorni fa il Consiglio di Stato ha cancellato la sua nomina - e quella di altri cinque pm - a procuratore aggiunto di Palermo. E lui, anziché inchinarsi ai giudici, che ti fa? Sfida: «Resto al mio posto perché il verdetto non prevede la rimozione». Cioè, chissene impipa dell’«istituzione». E da sinistra silenzio di tomba, come sempre se la magagna esce dal cilindro dei loro protetti.

E ora che, di questi tempi, il callido Santoro lascia la Rai con 20 miliardi di vecchie lire - e schiva pure gli annunciati tagli alle prebende dei manager pubblici -, avete per caso udito un fiato? Figurarsi. La sola fischionata è stata emessa da tale De Magistris, suo ospite fisso in tv, per dire: colpa del Cav che lo censura. Per i moralisti da strapazzo è sempre carnevale.

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