«Non ci posso credere...». Scartabella una ad una le agenzie di stampa che gli consegna Paolo Bonaiuti appena conclusa la riunione dell’Eurogruppo del G20. E quasi sembra non credere ai suoi occhi nel leggere le dichiarazioni di dissidenti e frondisti. Tra addii veri e minacciati e preoccupanti distinguo e prese di distanza sono decisamente troppe. Quanto basta, è la sensazione che ha sin dall’inizio Silvio Berlusconi, per riportare la maggioranza sotto la fatidica quota dei 316 voti alla Camera. Ecco perché il summit di Cannes il Cavaliere lo passerà per buona parte con la testa a Roma e l’orecchio attaccato al telefono a fare i conti con Denis Verdini. Che sì lo rassicura, ma fino a un certo punto.
L’appuntamento che fa paura, infatti, è in calendario già martedì prossimo quando la Camera dovrà votare il Rendiconto generale dello Stato su cui il governo era andato sotto di un voto neanche un mesetto fa. Allo stato, pallottoliere alla mano alle dieci di sera, la maggioranza infatti non sarebbe più tale. C’è chi la conteggia a 310, i più ottimisti a 312. Comunque sotto la soglia della sopravvivenza politica. E qui sta il punto. Perché anche a Berlusconi è stato detto chiaramente che i riflettori sono puntati su martedì. E che sarebbe stupido interpretare come un salvacondotto il fatto che Napolitano ha chiesto e preteso dall’opposizione di non affossare una seconda volta il Rendiconto con il rischio di bloccare il Paese e anche le nuove misure promesse all’Ue. Già, perché l’idea su cui si sta lavorando è quella di limitarsi all’astensione in modo da «salvare» il provvedimento ma di certificare nero su bianco i numeri della maggioranza. A quel punto, se davvero si andasse sotto la soglia dei 316, potrebbe essere lo stesso Quirinale a chiamare Berlusconi e chiedergli conto dell’accaduto. Oppure le opposizioni potrebbero decidere di fare il passo successivo e presentare una mozione di sfiducia, magari tirando fuori dal cappello qualche altro deputato «dormiente» in attesa di fare il salto del fosso.
Già, perché il punto è che se anche Verdini sta facendo quanto possibile per cercare di rimettere a posto i conti del pallottoliere (ci sarebbero stati contatti anche con la pattuglia dei Radicali) il problema vero è le garanzie concrete che può offrire. Casini, anche lui a caccia grossa, ha decisamente più strumenti visto che il suo gruppo parlamentare è destinato ad allargarsi in caso di elezioni, al contrario di quello del Pdl. Ecco anche una delle ragioni dell’addio formalizzato ieri da Ida D’Ippolito e Alessio Bonciani non solo lasciano la maggioranza, ma passano direttamente nel gruppo Udc. Il che vuol dire non solo due voti in meno per il governo, ma anche due in più per l’opposizione. Ma non finisce qui. Perché i sei frondisti che hanno firmato la lettera in cui chiedono al premier un passo indietro a favore di Gianni Letta e l’allargamento della maggioranza tengono duro.
Mentre aumentano gli scontenti come Roberto Tortoli («ora non lascio, ma il disagio è enorme») o Pippo Gianni («all’80 per cento non voterò la fiducia»). Ma il salto diretto nell’Udc avrà conseguenze fin dalla prossima settimana, quando saranno rivisti gli equilibri nelle commissioni parlamentari. Con la maggioranza che non sarà più tale (dovrebbe finire sotto di uno) in commissione Bilancio. Quella, per capirci dove arriverà la legge di Stabilità con l’emendamento illustrato ieri da Berlusconi al G20.
Un’appuntamento, quello di martedì, che vanifica anche il tabellino di marcia con cui il Cavaliere si presenta a Cannes (fiducia sulla legge di Stabilità al Senato dopo il 20 novembre e solo dopo nella ballerina Camera). Con il premier che dovrà aspettare fino all’ultimo minuto prima di verificare il pallottoliere. Perché andare al voto in aula sicuro di farsi impallinare non avrebbe molto senso.
Così resterebbe un anno per gestire la transizione, rinforzare Alfano e, magari, riagganciare l’Udc in vista del voto del 2013. Ma ogni decisione è rinviata a martedì.
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