Politica

La maggioranza non cede Alberoni la carta a sorpresa

È questa la mossa del premier se il centrosinistra non accetterà il dg designato dalla Cdl

Fabrizio de Feo

da Roma

Come in una partita a tennis, il nome di Claudio Petruccioli continua a rimbalzare da una parte all’altra del campo politico. Prima è la Casa delle libertà a far capire che il presidente della Vigilanza potrebbe essere il nome giusto, la figura di garanzia adatta a guidare la Rai. E da lì a poco il centrosinistra inciampa nelle sue mille anime e nelle sue patenti divisioni e fa scattare il veto. Poi ieri, è il vertice dell’Unione a rilanciare sull’esponente diessino e a dettare una faticosa investitura di Petruccioli. Passano poche ore e Forza Italia, con un comunicato di Elio Vito, dice no al «metodo della designazione». Ma soprattutto alla mancata assunzione della paternità politica diessina su Petruccioli. Non è un caso che il «no» a Petruccioli arrivi dal capogruppo a Montecitorio del partito di Via dell’Umiltà. È ovvio, infatti, che lo stop al candidato alla presidenza Rai arriva direttamente da Palazzo Chigi. Tant’è che una telefonata serale tra Piero Fassino e Gianni Letta si svolge in toni decisamente formali, se non di manifesta freddezza.
Le perplessità azzurre si appuntano sul gioco tattico che stanno portando avanti i Ds e Romano Prodi. «Mi chiedo: come fanno a dire che Petruccioli è di garanzia e non di parte. E non è un senatore diessino?» si chiede un dirigente di Forza Italia. «Come possono dire che Petruccioli è di garanzia quando, invece, dal loro punto di vista non lo era un civil servant come Monorchio? Questo sembra a tutti gli effetti un gesto di arroganza» aggiunge la stessa fonte.
La partita, insomma, è tutt’altro che chiusa. I due contendenti, la Cdl e l’Unione, continuano a studiarsi. E a questo punto non è escluso che si possa andare ai tempi supplementari e che il fischio finale possa risuonare anche oltre la scadenza del 14 giugno. In assenza di una schiarita, infatti, sarà difficile arrivare a incontrarsi su un nome condiviso nei giorni immediatamente successivi al referendum, come era stato stabilito in precedenza. Il punto di snodo, in realtà, rimane quello di due settimane fa: la scelta del direttore generale. La maggioranza, dopo la designazione Petruccioli, non accetta che sia messo in dubbio il proprio diritto ad avere un proprio uomo per quel ruolo. Quindi o arriva il via libera su Alfredo Meocci oppure salta anche Petruccioli. Qualcuno sussurra il nome di Marcello Sorgi come alternativa a Petruccioli. Ma la verità è che se il premier non si sentisse tutelato da un accordo chiaro, potrebbe perseguire la linea dura e far designare alla presidenza Francesco Alberoni. A quel punto il sociologo non otterrebbe la maggioranza dei due terzi da parte della Commissione di vigilanza. Ma diventerebbe presidente-reggente come consigliere anziano, essendo nato tre mesi prima di Sandro Curzi. È ovvio che questo accenderebbe un clima al calor bianco, da rissa permanente e continua. Ma questo è messo nel conto.

«Meglio la linea dura - sintetizza un esponente azzurro - di un tranello ben dissimulato».

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