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Le magie di una carriera in un concerto-evento

RomaNeanche fosse un corteo di devoti, i sorcini ieri pomeriggio erano lenti lenti sulla strada di Piazza di Siena, uno dopo l’altro in attesa che si aprissero i cancelli e Renato Zero apparisse a festeggiare i suoi sessant’anni. Otto concerti sotto il titolo «Sei Zero» (l’ultimo sabato prossimo, stucchevoli proteste degli ambientalisti), quasi centomila persone in totale, la fotografia di un personaggio, anzi di un’icona, che in quarant’anni ha seguito l’evoluzione artistica dell’Italia, da dirompente e provocatoria che era fino a quella di oggi, appesa a ciò che resta del buon senso. E così, quando lui è salito in scena sul palco che sembra un tendone bianco e africano, accompagnato da una super band e dall’Orchestra Universale diretta da Renato Serio, l’ovazione è stata multigenerazionale, mamme e papà e figli, un gigantesco sospiro di sollievo che è subito diventato meraviglia perché la prima canzone era un’inedita Roma, proprio così, mai cantata fino a ieri (e ce ne sarà un’altra, La mia generazione, quasi alla fine). Ma in mezzo a ciò che non si era mai ascoltato prima, c’è stato il Renato Zero più sincero che si può immaginare, entusiasta come un bambino, agguerrito come sempre nei cambi d’abito (ben sette, signori) e ospite gentilissimo di una serie di amici che ieri sera, come per ogni concerto qui in Piazza di Siena, lo è venuto a trovare, da Stefano D’Orazio dei Pooh ad Anna Marchesini. D’accordo, il duetto con Ron in Gli ex e quello con Cecilia Gasdia in Ha tanti cieli la luna erano magari prevedibili, così come l’arrivo in Dormono tutti di Carla Fracci con cinquanta ballerini del Teatro dell’Opera. E il pubblico forse si aspettava anche Mario Biondi (con Stefano Di Battista) visto che duettava con il padrone di casa nell’ultimo cd Presente, tra l’altro l’album più venduto del 2009 (435mila copie). Però pochi si sarebbero immaginati che Renato Zero indossasse il pigiama e accogliesse a braccia aperte addirittura Monica Guerritore per cantare Letti, brano con il quale i New Trolls e Umberto Bindi parteciparono a Sanremo nel 1996. In poche parole, un gran gala che lui, Renato Fiacchini, nato alla Montagnola da un’Ada Pica casalinga e un Domenico poliziotto, ha sfruttato per mostrarsi com’è realmente oggi, un cantattore che ha naturalmente perso per strada la vocazione provocatoria (e difatti in scaletta non c’è neanche il Carrozzone) ed è diventato saggio pur rimanendo ingenuo, parla e filosofeggia come se fosse la prima volta, con l’istinto genuino di chi, a certe conclusioni, sembra arrivarci solo con l’aiuto del suo pubblico.

E davanti al palco la commozione è enorme, come è difficile sentire per qualsiasi altro artista italiano, cori e lacrime e invocazioni, una intensità che conferma questo romano caciarone e variopinto in una sorta di maitre a penser cui la vita e il successo hanno setacciato l’istrionismo pacchiano lasciandogli purissima soltanto la capacità di comunicare a cuore aperto. Applausi, ma quelli veri sul serio.

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