La magistratura della Tv è la nuova classe emergente del varietà di questi tempi grami. Giurati, più o meno popolari. Coach e insegnanti, travestiti da censori, titolari di cattedra in alcuni casi da diversi anni (Ballando con le stelle, Amici). Giudici veri e propri. Sotto contratto o a gettone, sentenziano sulle sorti di aspiranti ballerini non più in tenera età, ragazzi che sperano di farsi largo nello showbitz, mostri sacri della storia patria la maggioranza dei quali passati da secoli a miglior vita. Ora l’ultima, sofisticata, variante introdotta da Il più grande di tutti i tempi, il giocone di Francesco Facchinetti (Raidue, mercoledì ore 21) è il «risolutore», la figura che avvia le preselezioni eliminando uno tra i tre candidati delle varie categorie (artisti, padri della patria, uomini di Chiesa eccetera), poi completata e spesso e per fortuna contraddetta dal pubblico con il televoto, formula magica dell’interattività per tenere accalappiati i telespettatori.
In principio, qualche decennio fa, era Lodovico Peregrini: il leggendario notaio di Rischiatutto dirimeva inappellabilmente i casi controversi del telequiz più popolare dell’èra Bongiorno. Fino ad espellere qualcuno che osava troppo, magari portandosi dei foglietti con le risposte in cabina. Negli ultimi mesi, man mano che reality, talent e game - tutti rigorosamente show - vanno occupando i canali e le serate degli italiani, di pari passo i togati del piccolo schermo si moltiplicano nella giungla dei palinsesti. Quasi che anche la televisione assorbisse la tendenza allo strapotere della magistratura nella nostra povera Italietta.
Assortire bene la giuria può risultare decisivo per la riuscita del programma: bisogna azzeccare il mix giusto di competenza e gusto pop, di accademia e senso dello spettacolo. E saperlo agitare adeguatamente. Quasi sempre i giurati finiscono per essere più protagonisti dei concorrenti stessi e per rubare la scena ai ragazzi che si mettono sotto esame, palpitanti, presentando un passo di danza o la cover di un big della canzone. Com’è successo spesso a X Factor, con il trio di professori - Mara Maionchi (7 per la competenza), Claudia Mori (5 per la seriosità) e Morgan (8 come propellente lisergico del talent) - sempre in prima fila a rimbeccarsi tra loro sulle doti dei rispettivi allievi.
Nel caso de Il più grande di tutti i tempi, dovendo esprimersi su personaggi del passato, comunque in tutti i casi assenti ed evocati con filmati d’epoca o testimonianze indirette, la Corte dei risolutori è la vera protagonista del gioco. Qui, però, la giuria ha un pedigree con parecchi quarti di nobiltà per competenza e abitudine alla vetrina. Prima di tutti Vittorio Sgarbi (nove), per il quale non servono presentazioni, forte di un mix di autorevolezza e autoironia condito da un senso dello spettacolo con pochi rivali. L’altra sera, mentre spiegava perché tra Pirandello, Eduardo De Filippo e Troisi dovesse essere scartato, ahimè, inevitabilmente il più giovane dei tre, trovava il tempo per leggere gli sms sul programma che gli arrivavano in tempo reale e per rubare dei baci non si sa quanto innocenti a Mara Venier (8 per la forma fisica, 5 per l’ingenuità), che invece aveva escluso Pirandello. Con Pietrangelo Buttafuoco (otto), le valutazioni hanno perso in gigioneria e mantenuto lucidità e sintesi. Come quando ha eliminato Giovanni XXIII dal trittico che componeva con Padre Pio e San Francesco perché iniziatore di un eccessivo modernismo liturgico di cui poi gli è toccato pentirsi.
Il segreto del collegio giudicante de Il più grande, alla quale peraltro si aggiunge una sorta di giuria d’appello composta da giornalisti e osservatori stranieri, è la capacità di non prendersi sul serio. Dote che scarseggia in altri show. Quanto più cresce la competenza tanto più si tende a pontificare o a salire in cattedra. Come succede di frequente a Caroline Smith (9 per preparazione, 4 in simpatia), baronessa di Ballando con le stelle, inflessibile con tutti e indulgente con i ballerini dotati di maggior sex appeal. Per fortuna è circondata da Lamberto Sposini (7 per l’understatement) e Ivan Zazzaroni (7 per il senso del gruppo), autore del fulminante identikit del «ballerino» Ron Moss: «Adesso finalmente si capisce perché si chiama Ridge, perché è rigido!».
A proposito di rigidità, la primatista assoluta di tutti i varietà in circolazione, quasi il Borrelli dei reality, è il pm Alessandra Celentano (9 per competenza, 4 in pedagogia): una che spacca il cavillo in quattro e la pazienza dei ragazzi di Amici, del pubblico e di Maria De Filippi, in mille.Insomma, lo strapotere della magistratura del video sembra non trovare contrappesi. Servirà mica un lodo garantista anche per la televisione?
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