Le bugie dei magistrati su Ilva

Acciaierie d’Italia chiese per ben due volte di attivare la procedura per "pulire" l’altoforno. Il comunicato di autodifesa della Procura nega una simile richiesta

Le bugie dei magistrati su Ilva
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La Procura di Taranto torna ad essere, come fu ai tempi dei Riva, la prima nemica del polo siderurgico dell'ex Ilva. Secondo quanto ricostruito dallo scambio di comunicazioni avvenute tra la Procura e l'azienda dalle ore 11.31 del 7 maggio, quando un incendio ha colpito l'Altoforno 1, e le 15 di sabato 10 maggio (quando finalmente i giudici autorizzano gli interventi di salvaguardia) sono passate 57 ore. Non solo. Nel comunicato stampa della Procura del 13 maggio i giudici hanno mentito. Non risulta infatti avanzata dalla Procura di Taranto nessuna autorizzazione al colaggio dei fusi (come richiesto con due istanze dalla società come operazione a salvaguardia della funzionalità dell'Altoforno 1 come invece viene scritto a pagina 2 del comunicato stampa della Procura. Comunicato in cui si legge, testualmente, che la richiesta di autorizzazione al colaggio dei fusi «non risultava essere stata avanzata in nessuna delle due menzionate istanze».

Peccato che invece le attività a bordo forno necessarie ad effettuare le operazioni di colaggio dei fusi (ossia colare il metallo fuso dai forni negli stampi affinché, raffreddandosi, non blocchi l'operatività dell'impianto, ora gravemente compromessa se non sostenendo costi esorbitanti) fossero state richieste sia nel corso dell'esecuzione del sequestro, chiuso alle ore 5.45 del 8 maggio, sia nella seconda istanza (ore 15.00 di venerdì 9 maggio) che, di fatto, riportava integralmente il contenuto della prima, e manifestava l'importanza di questa operazione ai fini della salvaguardia dell'Altoforno 1.

«Quanto accaduto è di una gravità inaudita», ha commentato il ministro Adolfo Urso confermando che «come emerge purtroppo, e lo dico da uomo che crede tanto nello Stato, la Procura ha detto il falso». Alla luce dei fatti, ieri è stata presentata da Fratelli d'Italia un'interpellanza parlamentare al ministro delle Imprese e del Made in Italy, e dunque a Urso stesso, e al ministro della Giustizia per sapere se intendono mandare gli ispettori per accertare le gravi responsabilità della Procura di Taranto, azioni che potrebbero aver compromesso la funzionalità dello stabilimento. «Tenuto conto dell'incongruenza tra la relazione inviata da Acciaierie per l'Italia e quanto affermato dalla Procura di Taranto - proseguono i parlamentari - è necessario un approfondimento per accertare le responsabilità della Procura e scongiurare le conseguenze che potrebbero esserci sulle trattative in corso con i candidati all'acquisto dell'impianto, gli azeri di Baku Steel, che, all'esito degli ultimi sviluppi, potrebbero ritirarsi dall'accordo», concludono i deputati di FdI, Giovanni Maiorano e Michele Schiano Di Visconti.

In attesa di capire come finirà la trattativa in corso con gli azeri, l'incendio all'altoforno ha avuto un effetto diretto sull'occupazione mandando in cassa integrazione altri 2mila addetti che si aggiungono ai 2mila già in sospensione dal lavoro. Il numero però potrebbe salire perché con un solo altoforno la produzione è precipitata tra 1 e 2 milioni di tonnellate di acciaio necessitando, di fatto, di appena 2-3mila addetti in forze. Insomma, se il siderurgico dovesse permanere in questo stato 10mila addetti sarebbero davvero troppi da giustificare.

Il governo ha «preso atto» che «potrebbero esserci delle ricadute non solo occupazionali, ma anche e soprattutto economiche, in virtù del fatto che gli interessati potrebbero rivedere le loro posizioni e quindi anche l'offerta di acquisto dell'intero impianto Ilva», ha detto il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, rispondendo al question time al Senato ad una interrogazione di Francesco Boccia (Pd). Per quanto di competenza del ministero dell'Ambiente, ha aggiunto, «l'Autorità di controllo sta effettuando le verifiche e adottando le azioni necessarie».

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