
«Report ha sostenuto il falso, le sue ricostruzioni erano imprecise ma manca l'elemento psicologico del reato». Almeno sul fronte delle querele Sigfrido Ranucci può stare tranquillo. La sentenza che arriva da Varese riguarda la puntata Mogli, camici e cavalli dei paesi tuoi del 19 ottobre 2020 nella quale il conduttore e il suo inviato Giorgio Mottola sono stati assolti dall'accusa di diffamazione aggravata per avere (secondo il pm Monica Crespi) «travalicato il limite del diritto di cronaca», accusando ingiustamente l'avvocato Maria Cristina Fontana, figlia del presidente della Regione Lombardia Attilio. Di cosa? Di un «clamoroso conflitto d'interessi» che non c'era per alcuni incarichi all'Asst Nord Milano, tanto che lo stesso Ranucci, interrogato, ammette che quel titolo «accattivante» secondo il pm era in realtà «forzato». La condanna a 700 euro chiesta dai pm è diventata un paterno buffetto. La trasmissione - vista da oltre tre milioni di persone - ha generato «un effetto lesivo e un pregiudizio mediatico» (lo dimostrano i commenti alla puntata) ma non basta a ottenere il risarcimento da 30mila euro. Per il legale di Report Alessia Liistro «il servizio non conteneva accuse ma poneva interrogativi», l'avvocato dei Fontana Fabio Schembri parla di «un agguato mediatico basato su una notizia falsa», con documenti che dimostravano il contrario mai andati in onda.
Lunga vita a Ranucci, ma non è il primo «incidente» nella ricostruzione della pandemia Covid. Basti pensare all'ex Dg della Prevenzione Ranieri Guerra, sputtanato da Ranucci per avere a suo dire fatto ritirare il rapporto Oms che inguaiava l'Italia per la gestione «caotica e creativa» della pandemia pur di coprire il mancato aggiornamento del Piano pandemico. L'altro giorno correttamente l'altro inviato di Report Giulio Valesini ha ammesso in commissione Covid - di cui nessun giornalone parla - che è stata la cina a far togliere il report di Francesco Zambon, che aveva giustamente fatto risalire il primo contagio uomo a uomo a prima di quando ufficialmente lo ammettesse la Cina. Lo dimostra la sentenza del Tribunale del Lavoro di Ginevra contro l'Oms pubblicata dal Giornale, il rapporto non era verificato come prevede il protocollo Oms, non c'era alcuna minaccia da parte di Guerra.
Ci sono altre mail che dimostrerebbero che Zambon si sarebbe impegnato a rimuovere le parti politicamente sensibili da un rapporto che, a detta dello stesso ricercatore, serviva a far uscire bene il governo di Giuseppe Conte e Roberto Speranza, non a crocifiggerlo come poi è successo. Zambon è diventato un eroe della pandemia ma è finito in un tritacarne mediatico: in una mail - letta in esclusiva dal Giornale - dice che i giornalisti lo hanno «molestato», in un'altra definisce Report «ignobile».
Anche tra Guerra è Oms è in corso una guerra di carte bollate, l'ex Dg dovrebbe parlarne nel processo che lo vede alla sbarra (a prescrizione tecnicamente già scattata) il 24 marzo. Chissà se da qui ad allora Report si occuperà anche dello scandalo delle mascherine cinesi farlocche, sdoganate a fronte di documenti falsi che hanno ingannato Dogane, Cts, Iss e Inail nonostante - lo ha detto lo stesso Conte a Report - l'allora premier avesse messo i servizi segreti a vigilare.
Del ruolo dell'Aise parla in commissione Covid la Pd Ylenia Zambito, che però definisce «approssimative» le indagini della Gdf secondo cui almeno 200 milioni di provvigioni sarebbero finite ad amici dell'allora commissario all'Emergenza Covid Domenico Arcuri come l'ex giornalista Rai Mario Benotti (un passato nello staff di esponenti Pd) e dell'avvocato amico di Conte Luca Di Donna, il cui incontro con un imprenditore a caccia di intermediari sarebbe avvenuto alla presenza di due 007. La cui delega (un unicum nella storia repubblicana) era guarda caso in mano a Conte. Lo stesso leader M5s che si è giustamente speso a favore di Ranucci dopo l'attentato.