L’allergia alle riforme tra caste, corporazioni e strapotere delle toghe

Pera: "Bloccano Milano, lo Stretto e l’Albania: vogliono fare tutto loro"

L’allergia alle riforme tra caste, corporazioni e strapotere delle toghe
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Nel bel mezzo del salone di Palazzo Madama dove va in scena l'ultima lettura della riforma della Giustizia, Pietro Pittalis, parla di un altro scontro, con altri magistrati, quelli della Corte dei Conti che hanno bloccato l'iter del Ponte di Messina. L'esponente di Forza Italia è il relatore della riforma della giustizia contabile. Gli echi del braccio di ferro con le toghe dei numeri non sono meno fragorosi, si sentono gli echi fino a Scilla e Cariddi. «C'è stato - confida Pittalis - un rapporto di causa ed effetto tra la riforma e il no al ponte. Qualcuno dalla Corte dei Conti ha addirittura tentato di sensibilizzare il Colle per modificare il testo della riforma. Ma a parte qualche strana reminiscenza di Fratelli d'Italia noi siamo stati fermi. Ecco perché quel no è un'operazione di guerriglia».

L'altra sera la Meloni ha risposto a muso duro, ha parlato di «invasione sulle scelte del governo», ieri mattina dopo un vertice a Chigi con Salvini e Fazzolari ha optato per una guerra di posizione: l'esecutivo risponderà punto per punto alle osservazioni della Corte.

Il vero problema, però, è «sistemico». C'è un'Italia allergica alle riforme. Non puoi modificare nulla perché dai magistrati penali o contabili, ai balneari, ai tassisti ogni modifica dello «status quo» è rigettata al mittente, un'operazione che trova sempre un alleato politico: se una riforma è promossa dalla destra la sinistra si oppone, e viceversa. È la storia di trent'anni e delle sue vittime: l'unica riforma della Costituzione andata in porto è stata l'abolizione dell'immunità parlamentare subita da una classe politica imbelle.

Gli scontri di oggi, invece, rispondono solo ai colori della politica per cui fioccano contraddizioni e baggianate: sulla giustizia penale, ad esempio, magistrati e sinistra dicono che la riforma approvata ieri pone le toghe sotto il dominio dell'esecutivo, nel contempo però gli stessi mettono in guardia dal rischio che i Pm con carriere separate e il loro Csm possano fare ciò che vogliono. Tutto e il suo contrario. I giudici contabili, invece criticano la riforma perché ne limiterebbe i poteri, quando invece il testo prevede un esame preventivo di un'opera o di altro. «Siamo un Paese irriformabile - osserva il capo dei senatori leghisti, Romeo - figlio delle corporazioni». «Hanno bloccato Milano» ragiona l'ex presidente del Senato, Marcello Pera: «poi il Ponte quando l'importante è solo che stia in piedi. Si sono arrogati il diritto di fare la politica dell'immigrazione. Vogliono far tutto loro, fino a quando non li metteranno in galera, perché lì finiranno. Pensate a Garlasco!».

Così alla fine la «querelle» diventa squisitamente politica. È fatale. «Sulla Corte dei Conti - sostiene graziano Delrio - c'è stato il primo scivolone della Meloni. Ora diranno che mette il bavaglio ai giudici contabili. Un errore del genere da Salvini te lo aspetti, da lei no. A lei non giova fare l'orbaniana perché gli italiani sono democristiani, non hanno simpatia per gli autocrati». «Il loro è un attacco generalizzato - spiega il leader dei 5stelle, Giuseppe Conte - un calderone contro Pm, giudici, giudici contabili, corte europea. Tanta propaganda per nascondere la loro incapacità a governare».

Solo che a star fermi si rischia di passare per i difensori di «un presente» che non piace a molti. Bettini, Petruccioli, Mancina, Morando, Ceccanti personalità che provengono addirittura dal Pci si schierano per la separazione delle carriere perché in fondo il «garantismo» è un dato culturale che ha radici pure nella storia della sinistra. E i piani di tutti rischiano di essere sconvolti.

Nei saloni di Palazzo Madama Matteo Renzi (foto) disserta e prevede. «Noi ci asteniamo - spiega - non possiamo dire sì a una riforma scritta da Mantovano, l'ex segretario di magistratura indipendente a Rieti. Al referendum lascerò libertà di voto anche se dirò la mia. Chi vincerà? Loro perché c'è un pezzo di sinistra proveniente dal Pci che voterà la riforma. Per questo Franceschini ha sbagliato a impostare la campagna sullo slogan dei pieni poteri contro la Meloni».

Non manca neppure un ricordo del passato, anche lui è stato vittima del paese «irriformabile». «Al referendum - rammenta - sono stato ingenuo a stressare sull'affluenza perché tutto dipende da quanti ne porti alle urne. Detto questo se la Meloni perderà non resterà a Palazzo Chigi. È successo a me, è successo a Cameron sulla Brexit: ti dicono bye, bye».

È il motivo della paura di tutti per quel terno al lotto che secondo Nordio è il referendum. Nessuno vuole rischiare.

La Meloni dice che anche in caso di sconfitta resterà a Palazzo Chigi. E la Schlein? «Se la Meloni perde - dice Elly - non serve che si dimetta, la mandiamo a casa noi. Se mi dimetto io in caso di sconfitta? Mi dovrete sopportare ancora a lungo». L'Italia che non vuole cambiare.

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