«Mai avuto un amico repubblichino»

RomaPaolo Brichetto Arnaboldi, 88 anni, partigiano «bianco» con Edgardo Sogno, una medaglia d’argento e una di bronzo al petto, deportato a Dachau, colpisce per fierezza e lucidità: «Perdonare i repubblichini? Di certo comprensione e umana pietà anche per chi s’è schierato dalla parte sbagliata. Questo sì».
Dottor Brichetto, aveva amici o conoscenti che scelsero la Repubblica di Salò?
«No. Sono cresciuto in un ambiente profondamente antifascista».
Mai iscritto al Pnf?
«Mai. Mia madre mi fece studiare privatamente per non vedermi Balilla».
E all’università? Niente tessera del Guf?
«Avrei dovuto ma ho sempre risposto “Sì, sì, provvederò”. Poi si sono stancati».
Lei è stato allevato a pane e liberalismo ortodosso soprattutto grazie a sua madre, Emilia Airoldi di Robbiate.
«Tra il castello di Carimate dove ho passato l’infanzia e la casa di Milano sono passati Benedetto Croce, Alessandro Casati Stampa, Tommaso Gallarati Scotti, Stefano Jacini, Guido Piovene, Cesare Merzagora, Luigi Einaudi e altri».
Poi il servizio militare.
«Terzo reggimento autieri di Milano, in servizio a Cantù, a due passi da casa».
Poi il dramma dell’8 settembre.
«Dissi alla trentina di soldati sotto il mio comando che potevano scegliere: o la Svizzera o il disastro italiano. Nessuno li avrebbe giudicati. Meno di dieci scelsero la Svizzera».
E per lei iniziò la Resistenza: quando conobbe Edgardo Sogno?
«Aprile del ’44. Seppi poi che in precedenza la mia famiglia lo aveva nascosto nel castello di Carimate».
Sogno: antifascista ma anche anticomunista doc.
«Come tanti che combatterono nella Franchi: Prinetti, Mozzoni, Bergamasco e altri. Ma tra noi c’erano anche comunisti».
Davvero?
«Certo. Non c’erano pregiudiziali di carattere politico. Ne cito due: Ferdinando Prat e Riccardo Banderali, quest’ultimo fucilato dalle Ss mentre gridava “Viva l’Italia” con il pugno chiuso alzato».
Eppure nel Dopoguerra non si poteva dire che la Resistenza l’avevano fatta anche liberali e monarchici. Perché?
«Perché senza la benedizione dei comunisti la nostra storia non aveva validità».
Nel 2002 l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ricevette al Quirinale ex membri e parenti di commilitoni della Franchi. È terminata lì la ghettizzazione politica e ideologica?
«Ricordo quel giorno con immenso piacere. Lo speravo, peccato il brutto episodio di quattro anni dopo».
25 aprile 2006, in piazza a Milano con sua figlia Letizia Moratti, all’epoca candidata sindaco, furono fischi e insulti. Cosa provò?
«Rabbia. Sventolai la mia tessera della Franchi con i timbri delle brigate Garibaldi, Matteotti, Giustizia e Libertà».
Gesto non capito dai contestatori.
«Esatto: pochi facinorosi che continuano a considerare la Resistenza monopolio naturale della sinistra».


Con il discorso del premier a Onna, 25 Aprile festa di tutti, è cambiato qualcosa?
«Si sta ripensando a quello che è stata la Liberazione. Ma mi piacerebbe che si ricordassero, doverosamente, anche i 7.600 morti dell’armata americana».

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