Mai dare per spacciato Masi, l’araba fenice

Ormai ci scommettiamo su. E, regolarmente, perdiamo. Predire il momento della sua «dipartita» è diventato il giochino più in voga tra i cronisti «massmediatici». Perché lui, l’uomo che viene dato per morto (professionalmente parlando) una settimana sì e l’altra pure, alla fine è ancora lì, (s)comodo sulla sua poltrona, a ridersela sotto i baffi. Mauro Masi, l’araba fenice di viale Mazzini, il direttore generale incaricato di incenerire quei diavolacci di Santoro, Floris, Dandini e compagnia, alla fine risorge sempre dalle proprie ceneri. Lo davano fuori dalla Rai già pochi mesi dopo la nomina, avvenuta nell’aprile 2009; ma dopo due anni, fra tira e molla, indiscrezioni di ogni genere, articoli di fuoco, richieste di chiarimenti, indicazioni delle poltrone che andrà a ricoprire dopo le dimissioni (nello specifico la Snam o la Consap, azienda pubblica sulle assicurazioni), non c’è verso che accada nulla. Gli hanno già trovato una sostituita, il vice direttore generale Lorenza Lei, sponsorizzata in diverse dichiarazioni dall’ex direttore generale Agostino Saccà. E, invece, lui se ne sta lì, a mettere pezze nelle falle che si aprono da tutte le parti, a rintuzzare le critiche delle opposizioni, a cercar di trovare soldi per coprire un debito milionario, a telefonare in diretta nelle trasmissioni, a continuare la sua battaglia per riportare in Rai maggiore «pluralismo», che tradotto significa depotenziare i programmi di sinistra che fanno venire le bolle al Cavaliere, cioè i soliti Annozero, Ballarò e Report. E avviare trasmissioni orientate in senso opposto come Radio Londra di Ferrara e quell’altra araba fenice (che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa...) del programma di Sgarbi che dovrebbe partire a maggio. Oltre a programmare palinsesti estivi in cui compare anche la sua fidanzata (e presentatrice) Ingrid Muccitelli.
C’è anche chi, come un novello Nostradamus, ha tentato di predire giorno, e quasi quasi anche ora e luogo della sua dipartita: su Repubblica, addirittura in prima pagina, il 26 marzo è apparso un articolo che dava per certe le dimissioni il martedì successivo. Scriveva l’articolista: «Il premier è scontento, i nemici di Berlusconi sono ancora tutti al loro posto, nonostante gli innumerevoli tentativi di imbrigliarli». Per questo il nostro se ne dovrebbe andare (la scadenza naturale è tra un anno insieme al cda). Invece nulla, quel martedì è passato invano. Ma il giochino «va, non va» non è una favola partorita dalle menti (a volte fervide) dei cronisti, i quali non fanno altro che raccogliere le voci anche molto autorevoli nei corridoi di viale Mazzini e non solo.

E ascoltare le preoccupazioni di dirigenti, giornalisti, autori, produttori che vedono una Rai che va sempre più alla deriva, in cui non si procede a fare le nomine più necessarie come quella della direzione del Tg2 e delle numerose reti tematiche e si trovano nell’incertezza di una possibile transizione. Che però non arriva mai. O, magari sì, a ore, a giorni, chissà....

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