Cultura e Spettacoli

Maionchi: "Musica piratata? Ci vuole una legge"

La produttrice interviene sul download: "Il prossimo a soffrire sarà il cinema". L'ipotesi: "Il copyright potrebbe diventare solo parziale"

Maionchi: "Musica piratata? Ci vuole una legge"

Milano - No, mica solo a X Factor: Mara Maionchi è proprio così, parla e si scalda e si pente ma alla fine è chiara come pochi. Nella polemica che (finalmente) in questi giorni attizza il mondo della musica lei in sostanza dice: il download è un dato di fatto però bisogna regolarlo per legge. In Gran Bretagna, si sa, un centinaio di artisti tra i quali Nick Mason dei Pink Floyd, Ed O’Brien dei Radiohead, Annie Lennox e Robbie Williams si sono dimostrati ambiguamente favorevoli al download illegale di musica perché è comunque «una forma di promozione». Boh. Comunque: apriti cielo. Lily Allen, i Muse e perfino James Blunt hanno in poche parole risposto: facile parlare quando si ha la pancia piena. Un dialogo tra sordi e il problema rimane. In Italia Caterina Caselli sul Giornale ha confermato che «siamo di fronte a una distruzione di valore economico e morale». Adesso Mara Maionchi conferma: «In Italia si scarica troppo e troppo illegalmente dal web».

D’accordo, signora, ma che cosa fare?
«Innanzitutto partiamo dalla situazione reale. Oggi non si riesce più a investire. Negli anni ’70 si potevano fare contratti con gli artisti da tre o addirittura cinque dischi. I Dalla, i Battiato hanno potuto avere il tempo di crescere, maturare ed esplodere: adesso non si va oltre il secondo disco perché non ci sono più i fondi. Buona la prima altrimenti sei fuori».

Invece per Nick Mason dei Pink Floyd non ci sono problemi.
«I Pink Floyd sono diventati superstar naturalmente grazie al talento. Ma anche perché ci si arricchiva e si stava bene, mica perché si diventava dei poveracci. È sempre stato così per tutti gli artisti, anche per Mozart, credo».

La Caselli dice: in sette anni la discografia mondiale ha perso dieci miliardi di dollari.
«E lei è una donna che ragiona con il cuore. Il suo grido di dolore non è solo quello dell’industriale. Ma anche quello di chi ha a cuore la sorte dei propri dipendenti e della musica in generale. In ogni caso il problema non è solo musicale».

Quali sono gli altri settori?
«I pirati del web hanno attaccato la musica facendo danni enormi. Ma la prossima vittima sarà il cinema».

Quindi?
«Non è facile. Di sicuro bisogna sedersi a un tavolo e iniziare una trattativa. La questione è sotto gli occhi di tutti e bisogna risolverla».

Come?
«Innanzitutto partendo dal presupposto che la musica non può essere gratuita. Perché i libri sono a pagamento e la musica può essere gratuita illegalmente? Neanche i Pink Floyd regalavano i dischi».

Ma avranno suonato gratuitamente: negli anni Settanta c’erano i concerti liberi.
«Sì ma i Pink Floyd prendono ancora le royalties sulle vendite dei loro album. E sono palate di milioni. Non si può far finta che non sia così».

Siamo al punto.
«Internet è ormai irrinunciabile. Però bisogna partire da questo presupposto: l’esistenza di Wikipedia non annulla la Treccani. Insomma ci vuole una legge che regoli la materia. Magari si stabilisce che, di ciascun album, un paio di brani possono essere liberi nel “peer to peer” ma gli altri devono essere protetti da un copyright effettivo e tutelato. Ma poi la sa una cosa?

Dica.
«Tutto ciò che è gratis mi sembra che perda valore. In fondo un disco costa dieci euro, è quasi come andare al cinema. Ma ti rimane per tutta la vita. Però c’è anche un altro problema: forse il rock ha perso credibilità presso i giovani. Una volta noi ci chiedevano il senso della vita e le canzoni ci davano delle risposte.

Ora non c’è più questa esigenza, pare».

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