Il mais Ogm fa bene ma nessuno lo sa

Sugli Ogm parlano i numeri. Quelli che di solito non vengono forniti né ai produttori né ai consumatori. In una sorta di censura globale. Come se il transgenico fosse tabù, il male per eccellenza.
Paolo Morandini, ricercatore del dipartimento di Biologia dell’Università di Milano, sulla scorta degli esperimenti effettuati in un’azienda lombarda, ribalta i tanti, troppi luoghi comuni che ostacolano ricerca, informazione e produzione.
Eccoli i dati (pubblicati sul mensile Espansione) relativi a una sperimentazione fatta su due tipi di mais coltivato in un’azienda di Landriano che appartiene all’Università di Milano. Sementi piantate contemporaneamente col metodo «convenzionale» e altre identiche trattate però con il carattere «Br», ovvero con l’aggiunta del Bacillus thuringensis. Al Dna della pianta è stato aggiunto il gene che permette di produrre un insetticida dannoso solo per alcuni insetti, in particolare le larve di piralide, capaci di danneggiare maggiormente il mais coltivato in Pianura Padana. Risultato: le larve dell’insetto che si nutrono del mais o scompaiono o muoino rendendo la pianta più sana. Nessun rischio dunque per il consumatore finale. Ma non l’unico vantaggio. La pianta tradizionale rende 111 quintali per ettaro mentre la varietà transgenica 159.

«In termini economici - scrive Landrini - già una bella sorpresa».
«Nel caso Ogm si arriva a produrne fino a 48 quintali in più per ettaro. Venduto a 22 euro a quintale (prezzo attuale) questo si traduce in un maggior incasso di 1056 euro per ettaro».

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