Secondo l'Unione, dunque, l'annunciato incontro del Papa con Berlusconi sarebbe stato elettorale. Anche l'incontro di Bush con Berlusconi dell'altra settimana era elettorale. E anche il discorso al Congresso degli Stati Uniti, che solo altri quattro premier italiani erano riusciti a pronunciare, era elettorale. A questo punto viene un dubbio: ma chi gliela organizza la campagna elettorale a Berlusconi? Mandrake? Il genio della lampada? Un extraterrestre?
Provate a pensare: fino a qualche settimana fa, il presidente del Consiglio veniva descritto dal centrosinistra come un pessimo rappresentante del nostro Paese all'estero. Ricordate? Parlavano di gaffe, figuracce, foto con le corna, Napoleone-Cornacchione, «altro che Churchill, al massimo è quello che litiga con Schultz». E adesso uno così è in grado di mettere in fila il presidente degli Stati Uniti, tutti i deputati e i senatori americani (Hillary Clinton compresa) e persino il Sommo Pontefice, al solo scopo di garantirsi qualche voto in più? Evidentemente c'è qualcosa che non torna.
Se fosse vero quello che sostiene il centrosinistra, in effetti, Berlusconi sarebbe un fenomeno assoluto. Da rivotare subito. Sembra paradossale, ma è così: come si fa a non votare uno che alza il telefono e arruola per la campagna elettorale niente meno che la Casa Bianca e il Vaticano? Ma ve la immaginate la scena? «Scusa George, che fai martedì? Devi partire per un viaggio ufficiale in Asia? No, guarda, rimanda tutto, che ti vengo a trovare. Ho un minuto libero tra il comizio di Ancona e quello di Verona: aspettami, faccio un salto a Washington. Una colazione insieme, ti va? Mi raccomando, caffè buono. Che dici? Anticipare a lunedì? No, non posso, devo incontrare Cicchitto per le liste elettorali...».
Davvero l'Unione pensa che sia andata così? Facciamo finta di crederci e andiamo avanti: passiamo al Papa. Ve la immaginate (di nuovo) la scena? Berlusconi torna dagli Stati Uniti, decide chi candidare nei collegi di Vercelli e Macerata, incontra Sandro Bondi e Miccichè, poi prende il telefono e chiama il Vaticano: «Joseph? Scusa, sai, ma ho bisogno di vederti. Mi organizzi un incontro a fine marzo? Sì, guarda, quei giorni il Palaeur è occupato: meglio se faccio una passerella sotto il Cupolone. Che dici? Posso portare anche Casini e Mastella? No, guarda, tranquillo, Clemente non disturba. Lo sai com'è lui: si adatta a qualsiasi compagnia. Allora d'accordo, ci vediamo da te. No, non ti preoccupare per il pranzo, devo ancora digerire la colazione di Bush. Stai tranquillo: veniamo già mangiati».
Siamo seri, per favore. Alla fine Berlusconi ha detto che all'incontro con il Papa non ci andrà. «Sarà il Papa ad andare da Berlusconi», ha scherzato Fini. Ma il problema resta: davvero la sinistra pensa che gli incontri con Bush, il Congresso e Benedetto XVI possano ridursi a tappe di una campagna elettorale? A noi sembra che questi ultimi strepiti dell'Unione denotino soltanto un certo nervosismo. E il nervosismo, si sa, insieme all'antico odio, offusca la vista: impedisce di capire la differenza che passa tra un comizio e un riconoscimento internazionale al prestigio del nostro Paese. O, peggio ancora, la differenza che passa tra uno spot e un'udienza dal Papa cui partecipano leader di tutta Europa.
Ma se davvero avesse ragione l'Unione, se davvero quelli organizzati negli Usa e quello saltato in Vaticano fossero appuntamento elettorali, allora Berlusconi sarebbe, come dicevamo, da rivotare subito: in fondo sempre meglio uno che riesce a dare ordini in così poco tempo al Papa e Bush, che uno che non riesce a farsi obbedire nemmeno da Caruso e Luxuria.
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