C' è un uomo solo al comando, e non è Fausto Coppi. Si chiama Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, da 41 anni presidente della Guinea Equatoriale. Il che ne fa il più longevo Capo di Stato del pianeta. Nonostante abbia 42 figli poligamo, li ha avuti da 4 mogli e un'infinità di amanti e una first lady assai attiva, la prima moglie Constancia Mangu, detta Ze, la pantera, le cronache recenti lo descrivono come un uomo solo, ossessionato dalla paura di un colpo di Stato. Malato di cancro alla prostata, vive tra i suoi palazzi sparsi tra l'isola di Malabo, Acoacán dove è nato, Bata cuore economico del Paese e Ciudad de la Paz, la nuova capitale nel mezzo della giungla. Intorno a lui mercenari russi e ucraini cui ha appaltato la sicurezza del Paese, e gli uomini della guardia presidenziale composta, da quando ha preso il potere, da forze speciali marocchine. Come dire: il Presidente non si fida dei suoi compatrioti. Educato all'Accademia militare di Saragozza, il 78enne Teodoro Obiang si dibatterebbe tra pensieri di successione, l'altalena dei prezzi del petrolio, fastidiose richieste di giudici stranieri che vogliono vederci chiaro sul suo patrimonio e tentativi, veri o presunti, di colpo di Stato.
Da quando ha preso il potere, il 3 agosto 1979, sono stati una decina. L'ultimo, nel dicembre 2017, si dice sia stato orchestrato da lui stesso per eliminare alcuni oppositori. Fatto è che questo golpe ha una trama da romanzo: coinvolge mercenari di stanza nella foresta tra Congo e Camerun, armi dal Sud Sudan, cittadini spagnoli che cospirano e trafficanti francesi che finanziano. In precedenza, nel 2004, i golpisti erano riusciti ad arrivare armati alle porte del palazzo presidenziale. Se ne parlò molto perché tra i cospiratori figurava anche il figlio di Margaret Thatcher, che ammise di aver tramato assieme al suo vicino di casa e venne arrestato.
Tanta ossessione per le insurrezioni armate è comprensibile: lo stesso Obiang ha preso il potere con un colpo di Stato. Ha imbracciato le armi per rovesciare lo zio, Francisco Macías Nguema, che governava dall'1968, dall'indipendenza dalla Spagna. Dittatore estremo, uccise 65mila persone, costringendo 100mila guineani ad andarsene. Sognava di istaurare una specie di socialismo, finì fucilato due mesi dopo. Teodoro Obiang ama chiamarlo il «golpe della libertà». Allora la Guinea Equatoriale era un Paese senza risorse, ininfluente sul piano diplomatico e con poche speranze. Oggi abbonda di petrolio e di poveri. Un milione e duecentomila persone vivono tra la terraferma (un angolo d'Africa incastrato tra Camerun e Gabon) e una manciata di isole davanti alle coste del Camerun, tra cui Bioko, dove si trova quella che nei fatti ancora è la capitale, Malabo.
Chi si limitasse a guardare i dati macroeconomici del Paese verrebbe ingannato. La Guinea Equatoriale è il quarto produttore di petrolio del continente, la sua economia è cresciuta del 20% l'anno negli ultimi due decenni, dal 2013 ha ospitato due edizioni della Coppa d'Africa, e con oltre 30mila euro ha il reddito procapite più alto di tutta l'Africa. Cose se non bastasse sta spendendo 600 milioni di euro per edificare la nuova capitale. Chi conosce Teodoro Obiang e vuole continuare a vivere nel Paese lo descrivere come un uomo parco, quasi modesto e assai piacevole. Buon giocatore di tennis, amante del Carnevale di Rio cui partecipa con assidua discrezione. Certo, in passato gli oppositori lo accusarono di cannibalismo: sostenevano che avrebbe tagliato i testicoli a politici infedeli prima di farli uccidere, ma nulla è stato provato. «Molti dicono che sono stanchi di vedere la mia faccia. Del resto ci sono da anni, vero. Però ho dedicato la mia vita a questo Paese». Peccato che il 60% della popolazione viva con meno di un dollaro al giorno, che la Guinea Equatoriale sia in cima alle classifiche internazionali quando di parla di corruzione, repressione degli oppositori, censura dei media e cleptocrazia.
La fortuna di Obiang e del suo clan è il petrolio. Scoperto in abbondanza a metà degli anni Novanta è entrato in produzione nel 1999, grazie ai contratti con società americane, prima tra tutte la Exxon Mobil. Obiang si è assicurato il benvolere delle aziende Usa dimostrandosi meno esoso dei leader nigeriani ed angolani, Paesi che grondano petrolio. Questi vogliono tenersi il 50% dei ricavi, lui si accontenta del 25. I soldi finiscono sui conti della banca centrale degli Stati dell'Africa Centrale ai lui intestati. Da qui si inabissano in una miriade di conti sparsi in Occidente. Nel 2004 quello alla Riggs Bank di Washington era di 700 milioni di dollari.
Abitudine all'accumulo comune anche al figlio Teodoro Nguema Obiang Mangue, conosciuto come Teodorín. Secondo gli osservatori sarebbe successore designato. Il 51enne Teodorín ha iniziato a farsi le ossa come ministro dell'Agricoltura, accumulando 100 milioni di euro grazie a un'imposta sul legname che depositava su conti esteri. Ora è passato al petrolio, alla vicepresidenza e ai post su Instagram. Proprietario di una villa da 30 milioni di euro a Malibú, in California, dove studiava alla Pepperdine University; una casa con 101 stanze a Parigi, nel XVI Arrondissement, decorata con quadri di Renoir e Degas, e una passione per le auto di lusso, tra cui una Bugatti Veyron da 1 milione di euro, Aston Martin, Ferrari e Rolls-Royce. Teodorìn è anche amante della musica, così ha comprato una casa discografica americana e ha accumulato 2 milioni di dollari di cimeli di Michael Jackson, tra cui un guanto tempestato di cristalli indossato durante il tour dell'album Bad. Tutto questo si è saputo di recente: nel 2017 la Francia decisa a far chiarezza sui tanti rampolli africani che comprano casa a Parigi lo ha processato per corruzione internazionale, riciclaggio di denaro e appropriazione indebita, sequestrandogli tutto e condannandolo a 3 anni di reclusione e 30 milioni di multa. Lo stesso è successo negli Stati Uniti e in Svizzera.
In un Paese in cui nessuno si fida di
nessuno, men che meno nel clan degli Obiang, il padre sembra non aver gradito questo eccesso di attenzioni internazionali. «Non lascerò il potere a uno stupido» avrebbe detto Teodoro Obiang. Non è chiaro a chi si riferisse.
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