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Maldonado disoccupato, colpa di una busta

Il difensore si allena con la squadra dei senza contratto. Non c’entra con la presunta combine, ma ormai il suo nome è diventato scomodo

Alessandro Ursic

Chissà se starà cominciando a pensare, il povero Ruben Maldonado, che forse il destino di un uomo è davvero scritto nel suo nome. Da due mesi il difensore paraguaiano si ritrova, suo malgrado, al centro dello scandalo Genoa-Venezia e di quei misteriosi 250mila euro in contanti trovati nell’auto di un dirigente dei lagunari. Il prezzo della partita comprata o un acconto sull’acquisto del giocatore? Per Ruben poco cambia: senza alcuna colpa, è diventato il protagonista involontario del caso più scottante dell’estate, associato alla presunta combine di una partita che lui neanche ha giocato. Un trasferimento tormentato. Un pacco non gradito, che in spagnolo e pure in dialetto veneziano suonerebbe come il suo cognome. Maldonado, muy Maldonado.
Bel modo di iniziare un’estate che si annunciava comunque travagliata. La squadra in cui Ruben ha giocato le ultime sei stagioni, il Venezia, non esiste più. In teoria uno come lui, 26enne con esperienza anche in Nazionale, non dovrebbe avere problemi a trovarsi un altro club. E invece. Radiomercato lo dava al Treviso in odore di serie A, ma finora non se n’è fatto niente. Maldonado è al momento disoccupato. E nei giorni scorsi non ha potuto fare altro che aggregarsi alla Fisiotonik, la squadra dei calciatori senza contratto.
È solo l’ultimo atto del suo annus horribilis iniziato nell’aprile del 2004. In quel Messina-Venezia che tutti ricordano per la memorabile corsa dell’infuriato Soviero verso la panchina dei siciliani, Maldonado scaricò il suo nervosismo sul direttore di gara Palanca. «Ha inferto con forza un calcio ad una gamba dell’arbitro – scrisse il giudice sportivo –. Poi lo ha spinto; poi lo ha nuovamente colpito con altri due calci; infine gli ha schiacciato con violenza un piede». Risultato: squalifica di un anno, poi ridotta a nove mesi. Al ritorno in campo, nel gennaio di quest’anno, Maldonado si infortunò alla caviglia procurandosi una microfrattura. Ci giocò sopra per mesi, sopportando il dolore. Ma in primavera, quando il Venezia era ormai allo sbando, decise di fermarsi.
E chi poteva rimproverarlo. Non certo i tifosi: quel difensore roccioso e irruento era ormai uno di loro. Un nervoso dal cartellino facile, ma che il cartellino lo timbrava sempre e comunque. Per un periodo fu anche capitano, ed è una pasta di ragazzo. Era un sopravvissuto dell’era Zamparini, che quando si portò squadra e giocatori a Palermo lo lasciò lì. Inevitabile che i veneziani si affezionassero a lui.
Mercato comunque ne aveva. Il Genoa gli ronzava attorno da tempo, ma senza insistere troppo. Poi, lo scorso giugno, il patatrac. Il gm veneziano Pagliara viene beccato con 250mila euro in contanti dopo un incontro con il presidente del Genoa Preziosi. In macchina ha anche il precontratto del trasferimento di Maldonado ai rossoblù, ma ai carabinieri non dice che i soldi sono per quell’affare. Nelle intercettazioni il nome del paraguaiano verrà fuori solo 36 ore dopo. L’amministratore delegato del Venezia Dal Cin dice che sull’affare Maldonado bisogna costruire la linea difensiva, «perché non ce ne sono altre». Quando i giornalisti gli chiesero: «Ehi Ruben, ma è vero che vai al Genoa?», in laguna assicurano che Maldonado fece una faccia come dire «Chi, io?». Pure trasparente. Merita di rivedere il campo, il povero Ruben. Chiamiamolo per nome, come i brasiliani.

Che per il cognome ha già dato abbastanza.

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