I suoi occhi avevano confuso tutti. La vedevano sfilare in passerella sguardo cupo e profondo. Pensavano che fosse solo professionalità. Ma si erano sbagliati. La vedevano sfilare, occhi seri e profondi. Pensavano che il suo sguardo fosse solo professionalità, quell’espressione un po’ misteriosa e un po’ triste che hanno tutte le modelle. E invece i suoi erano solo occhi tristi. Depressi. Nascosti dal trucco pesante delle sfilate. Ma quello usato in passerella era solo un artificio. Un suo amico l’ha scoperto per primo. L’ha trovata lui, nel suo appartamento a Parigi, impiccata. Daul Kim era la top. Bella. Bellissima. Notata da Vogue, lanciata sulla scena internazionale e sulla strada del successo come top model giovanissima. Musa di Karl Lagerfeld, star delle passerelle di New York, Parigi, Milano, l’idolo e l’orgoglio della Corea del sud dove tutti l’adoravano. Eppure non riuscivano a coprire il vuoto.
Quando tornava a casa, nel suo appartamento vuoto di Parigi si vedeva un «mostro». All’improvviso si sentiva terribilmente stanca e insoddisfatta. Si attaccava al suo blog e scriveva di tutta la sua solitudine. «La mia vita è misera e solitaria». Era stanca Daul, le mancavano i genitori, la sua famiglia, gli amici, loro erano rimasti tutti in Corea. Non riusciva mai a vederli, a stare con loro. La solitudine la schiacciava, la soffocava. Soffriva di insonnia, si lamentava, lavorava troppo, leggeva Tolstoi. Altre volte negava l’evidenza, diceva di non essere mai stata depressa, di essere solo lunatica, a chi si preoccupava diceva sempre di non volersi uccidere, di non volere morire. Ma non ha vinto lei. L’allarme è arrivato da un suo amico: «Sono passato a vedere Daul perché ero preoccupato. Non la sentivo da giorni». L’hanno trovata con una corda al collo. Impiccata nel suo appartamento di Parigi. Daul ha ceduto. A niente erano servite quelle frasi che lei stessa aveva scritto quasi per convincersi: «Devo imparare a non distruggermi più, a non essere più dura con me stessa». È la maledizione delle top. Quella che a giugno ha colpito un’altra bellissima modella.
Di Ruslana Korshunova dicevano tutti che «era felicissima». In effetti era famosa, stupenda. Nata nell’ex repubblica sovietica, nel Kazakistan, una bellezza sfacciata, orientale, esotica. Con Daul aveva molte cose in comune. Anche lei era apparsa sulla copertina di Vogue, e come Daul avrebbe dovuto compiere 21 anni. L’avevano definita «un volto per cui emozionarsi». Era vero. Stilisti come Marc Jacobs, Nina Ricci e Dkny l’avevano voluta come testimonial. La sua fortuna l’aveva fatta un agente mentre sfogliava una rivista. In mezzo alla pagina la foto di Ruslana: «Sembrava uscita da una fiaba», disse lui. Da allora il successo le stava alle calcagna, non la mollava un attimo.
Ma né a Daul né a Ruslana, tutto questo bastava. Alla fine era diventato tutto rumore. Un giorno ha aperto la finestra del suo appartamento a Manhattan e si è lanciata. Anche allora come oggi c’era un’amica che non si era accorta di nulla e che diceva: «Non aveva nessun motivo per togliersi la vita, era appena tornata da Parigi, era felicissima». In casa i poliziotti non trovarono nessun indizio che potesse far pensare a un omicidio o a una intossicazione per droghe o alcol. Il suo era stato un suicidio a mente lucida. Anche lei come Daul aveva un diario on line dove scriveva pensieri tristi. «Mi sento persa, riuscirò mai a trovare me stessa? Mi fa male, come se qualcuno avesse preso una parte di me, l’avesse strappata, calpestata e buttata».
È la faccia nera di una vita da sogno. Di quelle che da fuori sembrano dorate. Giovani, adorate, invidiate.
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