Malinconiche donne in vena di autoironia

Gloria Sapio e Paola Sambo sono le felici interpreti della commedia scritta e diretta da Adriana Martino

Laura Novelli

Single in vestaglia e pantofole, chitarriste rock agguerrite e provocatorie, zitelle attempate in preda a malcelati pruriti erotici, mamme divise tra la pappa e i sospirosi mugolii di una hot-line mordi e fuggi, signore infelici cadute per sempre nella famelica trappola della chirurgia estetica. Insomma: donne.
Donne di oggi e di sempre, raccontate con graffiante ironia da Adriana Martino (anche efficace regista) in uno spettacolo lieve ma non troppo che, intitolato semplicemente «Donne», vede in scena (alla Sala Gassman dell’Orologio) due affiatate interpreti come Gloria Sapio e Paola Sambo, davvero brave nell’attraversare con consapevole (auto)ironia le luci e le ombre di un universo femminile sfaccettato, imprevedibile, turbolento e, per molti versi, inquietante.
L’impietosa fotografia dell’autrice, scandita in una serie di quadri che riescono, pur nella loro brevità, a raccontare storie e a evocare sentimenti universali, fa leva essenzialmente su un linguaggio forte e moderno (il cui tema centrale è senza dubbio il sesso) e su un immaginario puntellato di registri grotteschi se non addirittura gotici. Motivo per cui si ride molto ma si resta spesso con l'amaro in bocca. Anche perché le due attrici/cantanti - artefici in passato di godibili minimusical dedicati proprio al mondo delle donne - riescono ad entrare nelle diverse situazioni e nei vari personaggi (la galleria umana della Martino ospita, tra l’altro, un duetto moglie/amante con avvelenamento finale, un amore gay ambiguo e nostalgico, una vicenda di prostituzione dai contorni attuali) con una buona dose di distacco e di divertito, maturo, spaesamento.
Quasi, cioè, volessero «epicizzare» questo poliedrico spaccato muliebre dandogli sì raffinati movimenti mimici, continui scarti di tono e di voce, ritmo assai sostenuto (anche nei numerosi cambi d'abito) e una vivacissima energia fisica, ma anche una sommessa malinconia di fondo, un groppo in gola che non va né giù né su. Ad accondiscenderle in questo ambivalente gioco di sfumature interviene poi la musica (composta da Benedetto Ghiglia, mentre al piano c’è Silvestro Pontani): veloci incursioni tra una scena e l'altra e soprattutto belle canzoni da raccontare, da dire, da recitare (basti considerare quella, originalissima, della cleptomane).


Canzoni che ricordano qualcosa di Brecht; qualcosa del teatro-canzone di Gaber: quel bisogno di guardare le cose in faccia senza pudore e di chiamarle con il loro nome. Ridendoci su per «tentare» di riempirle di senso.
Repliche fino a domani. Informazioni allo 06-68308330.

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