«La mamma? L’ha uccisa lo Spirito santo»

Al colloquio con l’avvocato: «Faccia gli auguri a mio fratello, compie gli anni»

Nadia Muratore

da Omegna (Verbania)

Sembra essere una famiglia invisibile, quella dei Sidoti. Nella riservata quotidianità di Omegna nessuno li conosceva, neppure i vicini di casa. Ora, nella tragedia, è balzata agli onori della cronaca per l'omicidio di Silvia Dragna, 40 anni, per il quale sono indagati il marito Antonio Sidoti, suo coetaneo e la figlia Vincenza, di soli 16 anni. La famiglia si era trasferita solo da poco più di un mese ad Omegna, ma viveva nell’anonimato, ripiegata su se stessa e sui suoi problemi quotidiani: i conti che non quadrano mai, i problemi di salute del padre, le scenate isteriche della madre, la ricerca di un futuro per la figlia adolescente. E proprio intorno a lei ruotava la vita familiare: era lei a scandirne i tempi quotidiani, a dispetto della sua giovane età. Vincenza cucinava, accudiva la casa e si prendeva cura del fratello di 11 anni e della sorellina di sei.
La ragazza non aveva un buon rapporto con la madre ma aveva un feeling particolare con il papà. La vera coppia Sidoti era composta da loro: padre e figlia andavano insieme a fare la spesa, portavano i bambini a giocare nel parco, guardavano gli stessi programmi televisivi. Erano legati anche da quella loro insofferenza verso Silvia, quel proteggersi a vicenda ogni volta che la donna minacciava di far rinchiudere il marito in un istituto psichiatrico. Vincenza considerava suo papà vittima degli isterismi della mamma.
Vincenza è una ragazzina che passa inosservata. Piccola e minuta, il volto magro e le labbra sottili, ha solo 16 anni, ma ne dimostra meno. Sembra una bambina, avvolta nei suoi maglioni di una taglia sempre più grande della sua, non ha amici né tantomeno un fidanzatino. Esile nel fisico ma forte nell'animo, Vincenza era la vera donna di casa. Di giorno si occupava delle faccende domestiche e dei suoi fratellini. Di sera, due volte alla settimana, frequentava i corsi della Federazione autonoma acconciatori a Intra, il borgo storico di Verbania. Non aveva legato con i compagni e gli insegnanti la descrivono come una ragazza timida, riservata e molto educata. Nessuno ricorda atteggiamenti sopra le righe e nessuno può credere che abbia potuto uccidere la madre. Diventare parrucchiera e lavorare lontano da casa era il suo sogno. Un sogno che sembra essersi infranto tra le mura del centro di accoglienza del carcere minorile «Ferrante Aporti» di Torino. Vincenza non ha mai pianto, si dichiara innocente e difende il papà da ogni accusa. «Chi ha ucciso tua madre? Non può essere stato lo Spirito Santo», gli hanno detto gli inquirenti. «Perché no? - ha risposto Vincenza senza abbassare lo sguardo -, così almeno avremmo risolto il problema». L'unica volta in cui la ragazza ha versato alcune lacrime è stato quando, ieri pomeriggio, ha telefonato al suo avvocato, Cristina Gulisano: «La prego: faccia gli auguri a mio fratello da parte mia - ha detto -: è il suo compleanno». Domani si terrà la convalida del suo arresto.

Ieri, quando il padre, in carcere a Verbania, ha saputo dell'avviso di garanzia che ha raggiunto sua figlia, ha pianto: «Lei non c'entra - ha pronunciato con un filo di voce - è solo una bambina». Poi ha continuato a proclamarsi innocente. Nelle prossime ore gli avvocati Sabrina Cane e Alberto Beer faranno ricorso al Tribunale della Libertà. Padre e figlia, ancora una volta, uniti verso un unico destino.

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