La mamma di Samuele sui vicini di casa: «Ho accusato la Ferrod perché ero sotto choc». Poi si sfoga: «Mio figlio era normale, ditemi chi l’ha ammazzato» La Franzoni: condannatemi ma sono innocente Anna Maria interrogata per due ore e mezza: tensione

Spunta una intercettazione su un martello da far ritrovare

La mamma di Samuele sui vicini di casa: «Ho accusato la Ferrod perché ero sotto choc». Poi si sfoga: «Mio figlio era normale, ditemi chi l’ha ammazzato» La Franzoni: condannatemi ma sono innocente Anna Maria interrogata per due ore e mezza: tensione

Stefano Zurlo

nostro inviato a Torino

Due ore mezzo di botta e risposta fanno saltare anche il rispetto per l’innocenza di Davide, il fratello maggiore del povero Samuele. «Sammy - dice Anna Maria Franzoni davanti ai giudici della Corte d’assise d’appello - aveva un carattere più duro di quello del fratello, a volte lo faceva piangere. Si approfittava della sua bontà e della sua remissività». È forse il momento più drammatico dell’udienza in cui, a sorpresa, la signora Franzoni si è fatta interrogare. Il sostituto procuratore generale Vittorio Corsi prova a infilarsi in quella fessura: «Ma noi escludiamo...». «Assolutamente», replica lei. «Perchè - insiste lui dando dignità di sospetto anche a questa atroce diceria - è una cosa che aleggia nell’aria». «Assolutamente no - chiude il discorso la Franzoni -. E spero che non venga mai fuori questa cosa, Davide è un bambino».
Anna Maria ha le lacrime agli occhi e la voce incrinata nel rispondere ai quesiti più acuminati serviti dal presidente Romano Pettenati e da Corsi. Ma la donna non perde mai la bussola e srotola, sia pure con qualche aggiustamento, la sua versione: «Io sono innocente. E spero mi aiutiate a capire chi ha ucciso mio figlio. È una sofferenza». Pettenati ascolta lo sfogo, poi la riporta a quelle ore drammatiche, al 30 gennaio 2002, il giorno del massacro. Anzi, alla vigilia: «La sera prima mi sentivo in preda ad uno stato di malessere. Avevo paura, perchè in passato mi era capitato di svenire. Avvertivo pesantezza di stomaco, formicolio, fastidio a braccia e gambe. E durante la notte chiesi a mio marito di chiamare un medico». Potrebbe essere una crepa nel mistero del delitto, ma non per lei: «Al di là di quell’episodio stavo assolutamente bene. La nostra vita era bella così, eravamo contenti».
Una favola, l’esistenza nella villetta di Montroz: «Mio figlio era un bambino normale, bellissimo e felice. Sono false le parole di chi vi ha raccontato che gli misuravo sempre la febbre». La narrazione può riprendere: «Quella sera Samuele era andato a letto più tardi del solito». «E allora, al momento di accompagnare Davide allo scuolabus, ho deciso di farlo dormire. Mi sono detta: “Faccio una corsa e torno”». «Che differenza faceva - insinua Pettenati - svegliarlo dieci minuti più tardi?». «Lui è sempre stato un dormiglione. Preferivo che riposasse».
Anna Maria sta per uscire con Davide, ma Samuele comincia a piagnucolare. In quel momento, secondo la sentenza di primo grado, scatta la follia omicida. Lei invece vede solo una scena di amore materno: «Sono scesa, l’ho preso in braccio e gli ho detto di stare tranquillo, ho preso dal comò un fazzoletto perchè amava addormentarsi succhiandolo, l’ho cullato e poi l’ho messo nel nostro letto sotto il piumone». E Davide? «Mi ha seguito per le scale. Poi però non è entrato nella stanza». Il dettaglio è inedito e Pettenati lo sottolinea. Perchè la Franzoni ha cambiato versione sul punto? Perchè in passato aveva detto che Davide era rimasto in giardino a giocare con la bicicletta? «È stato lui stesso - replica l’imputata con semplicità - a dirmi che le cose erano andate così». Insomma, lei avrebbe corretto una banale refuso. Pettenati prova a seminare altre trappole, si sofferma su un calzino spaiato, macchiato di sangue, trovato nella camera del delitto. L’altro che fine ha fatto? «Non lo so - oscilla lei, per una volta incerta - io non sono più rientrata nella casa di Cogne».
Quel giorno, invece, al ritorno dalla fermata dell’autobus la donna trova Samuele in fin di vita. Il giudice di primo grado la descrive con due aggettivi: «Fredda e impassibile». «Ero sotto choc», taglia corto la donna. «Perchè - butta lì Pettenati - ha chiamato il marito al lavoro per dirgli che Samuele era morto se aveva appena chiamato i soccorsi?». «Non sapevo neppure io cosa stava succedendo. Avevo i pezzi di cervello per le mani e solo poco prima lo avevo coccolato e tranquillizzato. Rispose la segretaria, le dissi che Samuele era morto ma di non dirlo a mio marito. Ero sotto choc - ripete - per questo accusai la vicina di casa, Daniela Ferrod».


C’è spazio per un’ultima domanda insidiosa: «Perchè con i vostri familiari - chiede Corsi, riferendosi ad una frase del padre di Anna Maria intercettata il 5 marzo, - parlavate di un martelletto da far ritrovare vicino alla villa dopo averlo imbevuto nell’acido muriatico?». «Non ricordo, sarà stata una battuta», si difende lei. E sulle lacrime cala il sipario.

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