Cristiano Gatti
nostro inviato a Parma
Dal diario di una famiglia distrutta. Martorano, campagne di Parma, inizio della prima settimana senza Tommy. Senza per davvero, senza per sempre.
Bisogna trovare il coraggio di risvegliarsi, la mattina. I genitori del piccolo ci provano con fatica sempre più pesante, nella casa della sorella di lei, che li ospita come naufraghi. Aprire gli occhi e ritrovare puntuale lo spettro cupo del proprio destino. Impossibile scacciare, impossibile sfuggire: la morte più ingiusta e più atroce che l'Italia si trovi a sopportare in questi ultimi anni, l'omicidio infame di un bimbo, incombe e si insinua da tutte le fessure. Eppure il tempo scorre, eppure l'inerzia spinge a scendere dal letto. Qualcosa bisognerà pur scrivere, sul diario della vita.
Il papà di Tommy esce dal cancello per raggiungere il suo casale di Casalbaroncolo. Arrivato lì, dopo un veloce controllo e due carezze al cane, libera qualche pensiero. È uno sfogo umanissimo e toccante. Il signor Onofri ripete le cose dette l'altro giorno, questa speranza che la morte del piccolo serva almeno «ad aprire le coscienze, per far capire quanto siano sacri i bambini», così come ribadisce l'impossibilità di perdonare, «perché non si può perdonare la crudeltà premeditata». Aggiunge che «queste persone hanno tradito la mia famiglia, dove venivano a prendere il caffè, ma anche i loro stessi figli: pensate quale futuro potrà avere quel bambino di sette anni, per giunta malato, il figlio di Alessi». Con le lacrime agli occhi, insiste: «Hanno tradito anche le loro famiglie, hanno tradito l'Italia intera». Del clima di casa, testimonia malinconico che la moglie Paola «è uno straccio, ha avuto tante crisi, i medici sono intervenuti diverse volte». Quanto a lui, «rispetto a mia moglie, riesco a stare in piedi: ma è l'unica cosa che mi riesce in più». Infine gli sviluppi dell'inchiesta, che ormai osserva come da un limbo lontano: «A questo punto il mio bimbo è tornato. Non come volevamo noi, ma quanto meno ce l'hanno riportato. Per quanto mi riguarda, non sono più interessato a quello che accadrà...».
Sempre dal diario di casa Onofri, poco dopo mezzogiorno. È difficile contenere la rabbia, quando diventa esasperazione. La sorella della mamma di Tommy, Patrizia, cioè la padrona di casa, arriva al cancello del giardino per parlare con i giornalisti: «Cosa fate ancora qui? Vi state comportando da sciacalli. Non c'è più niente da vedere. Levatevi di torno». Poi le parole più feroci: «State facendo a questa famiglia quello che hanno fatto i rapitori. Andatevene». Dietro, col viso sfigurato dalla tristezza, e per questo dolcissimo, la mamma di Tommy si sente quasi in dovere di intervenire: «Abbiate pazienza. Ormai è finita. Non c'è più niente da dire».
Un'ora più tardi, un'altra pagina di malinconico diario familiare. I coniugi Onofri escono scortati dalla polizia. Pochi chilometri, qualche curva tra i campi scampati all'aggressione edilizia, quindi giù verso il corso dell'Enza. Un luogo sordido e squallido, teatro notturno della prostituzione. Gli Onofri scendono a piedi sino al luogo dove gli infami del rapimento si sono liberati di un fardello ingombrante, quell'essere sacro e intoccabile che era Tommaso. Mamma Paola depone un mazzo di orchidee e si fa il segno di croce. Il marito le appoggia una mano sulla spalla. Si fermano pochi, lunghissimi attimi. Poi tornano verso la macchina. Lungo il tragitto, lei ripete l'unica frase che riesce a pronunciare, quando le parole sono finite: «Non c'è più niente da dire...». Il marito, ancora una volta, libera il tumulto dei sentimenti e del dolore: «Il loro reato più grosso è aver tradito. Tutti: noi, i loro stessi familiari, l'Italia intera». Ripete ancora, come a scusarsene: «Sono cattolico, ma non posso perdonare». Indica il luogo del ritrovamento: «Una cosa così non si deve vedere più». Gli chiedono: crede alla versione degli assassini? Risposta: «Assolutamente no. Non credo più a niente. Comunque ci sono fior di inquirenti che arriveranno fino in fondo: quando ci saranno arrivati, io sarò là». Dei sospetti che gli sono piovuti addosso, come soprammercato al dolore del rapimento, si sbarazza infastidito: «Non me ne frega niente». Infine, un pensiero per Sabastiano, il figlio che resta, l'unica vera ragione per uscire ancora dal letto, la mattina: «Ha pianto molto. Dobbiamo fare in modo che riesca a sopportare».
Pomeriggio, qualche ora più tardi. Arrivano i nonni materni. Nonno Franco ha le lacrime agli occhi, piange come piange un nipotino: «È un orrore, è un orrore...». Quindi s'infila in casa per coccolare Paola, la sua bambina, ora madre afflitta come una Madonna sotto la croce. Poco dopo arriva anche il sindaco di Tizzano, il villaggio sull'Appennino dove ha le sue radici la famiglia materna di Tommy. Annuncia che il piccolo, dopo il funerale, andrà a riposarsi lassù, dove l'aria è più buona e dove il cielo è più vicino.
Qualche chilometro più in là, all'ospedale, il corpicino martoriato è oggetto di autopsia. Dura ore. I genitori, nell'attesa, pensano a come riaccoglierlo, nel modo più bello. È già deciso: ci sarà un grande funerale, nel Duomo della città, un funerale aperto a tutti quanti gli hanno voluto bene, come a un figlio proprio, come a un fratellino proprio. Sì, questo ormai sarà per sempre Tommy: il fratellino d'Italia, adottato nei pensieri e negli affetti dalle famiglie italiane. Giusto così, avrà un grande funerale e avrà anche il lutto cittadino, come fosse un solenne funerale di Stato, perché la personalità che salutiamo è la più alta e la più onorabile di tutte: è il sacro candore dell'età migliore.
Dal diario di casa Onofri, una famiglia che proprio non ce la fa. Paola saluta il suo bimbo: «Voglio dire un grande ciao a Tommaso, mandargli un grande bacione e dirgli che la sua mamma è sempre con lui». Quand'è sera, padre e madre escono nuovamente di casa. Stavolta il pellegrinaggio ha come destinazione la chiesa di Sant'Andrea, dove un anno e un giorno fa, proprio lo stesso giorno in cui se ne andava papa Wojtyla, Tommy veniva consacrato a Dio nel battesimo. Piangeva, il piccolo, quel giorno: piangeva come tutti i piccoli esordienti del cristianesimo, che si prendono una doccia benedetta in testa senza sapere bene perché. Stavolta piangono i suoi genitori, di un dolore tetro e insolente, che proprio non se ne vuole andare.
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