Roma - Guai a chi tocca i privilegi dei baroni. Messaggio ufficiale: «In queste condizioni non sarà possibile dare inizio al prossimo anno accademico». Messaggio implicito: «Toccate i nostri soldi e noi blocchiamo tutto». Parla il Senato accademico de «La Sapienza» di Roma. Parla per tutti e promette battaglia contro la manovra finanziaria del governo.
È la rivolta dei privilegiati, perché chi è pronto a scendere in piazza ha stipendi e contratti signorili, si siede su una cattedra e insegna, ascolta gli studenti e sceglie se promuovere o bocciare. E poi va all’incasso: tanti soldi per una mole di lavoro sorprendentemente bassa. Perché si lamenteranno che gli Atenei non funzionano, si metteranno a piangere per compensi che a loro sembrano bassi, ma che a scorrerli non sembrano niente male.
NON SI FATICA
Nel decreto del Presidente della Repubblica numero 382 del 1980, il testo di legge che da trent’anni disciplina il lavoro dei cattedratici, si legge che i professori ordinari a tempo determinato devono assicurare «la loro presenza per non meno di 250 ore annuali», e che, se a tempo pieno, sono tenuti anche «a garantire la loro presenza per non meno di altre 100 ore annuali (...) per l’assolvimento di compiti organizzativi interni». Calcolatrice alla mano, sarebbero la bellezza di ventinove ore al mese, meno di un’ora al giorno. Questo se i professori lavorassero, irrealmente, tutti i santi giorni dell’anno.
MENO DI 4 ORE AL GIORNO
A dare la giusta dimensione dell’impegno degli accademici ci ha pensato la Ragioneria generale dello Stato, che nel Conto annuale del personale, pubblicato a metà maggio di quest’anno sulla Gazzetta Ufficiale, ha ufficializzato il carico di lavoro giornaliero: tre ore e trentanove minuti, cinque giorni su sette. Sempre poco: soprattutto considerando che queste ore non sono tutte dedicate all’insegnamento, ma anche alle sessioni d’esame, alle partecipazioni alle commissioni di laurea e al ricevimento degli studenti.
C’è chi dice che il lavoro intellettivo non può essere cronometrato e ingabbiato in schemi fissi. Vero. Resta però il fatto che gran parte delle persone in solo tre giorni (chi addirittura in due) lavora l’equivalente delle ore che un professore affronta in un mese. I dati pubblicati dalla Ragioneria hanno fatto scalpore, tanto che il Sole24Ore ha dedicato un articolo approfondito sul tema; e, se ai rapporti statali hanno preferito fare orecchie da mercante, all’accusa della stampa i professori si sono scatenati. Duecentoquaranta ordinari, appartenenti a quindici atenei italiani, hanno affidato il loro sdegno a un documento redatto dalla professoressa Lilla Maria Crisafulli, docente di storia e lingue inglese a Bologna: «Se ovunque - si legge - specie all’università, la qualità dovrebbe prevalere sulla quantità, in realtà non basterebbero neppure le 24 ore giornaliere per tener testa a quello che la coscienza del docente e l’immaginazione e curiosità del ricercatore che è in ognuno di noi ci spingono a fare, per l’evoluzione scientifica dei nostri studenti e l’aggiornamento e approfondimento delle conoscenze nei nostri settori disciplinari».
Sorvolando sul fatto che per tutte le altre figure professionali la giornata lavorativa si adatta alle ore scritte nere su bianco sui contratti di assunzione, la domanda è spontanea: quanto rende essere titolari di una cattedra? Poco, se rapportato alle 24 ore di impegno intellettivo che i professori rivendicano. Decisamente tanto, se riferito a quello che effettivamente la legge chiede loro.
L’AUMENTO AUTOMATICO
Nelle tabelle delle retribuzioni dei professori ordinari del 2008, si può toccare con mano cosa vuol dire l’avanzamento dell’anzianità di servizio all’interno delle facoltà: appena entrato nell’alma mater, un professore ordinario percepisce 4.373 euro lordi al mese. Dopo 28 anni di lavoro, gli euro sono diventati 8221,39. Prendiamo di nuovo in mano la calcolatrice e scopriamo che un’ora di lavoro di professore ordinario a tempo pieno al quattordicesimo scatto d’anzianità vale 283,49 euro. Roba da competere con i top manager delle multinazionali più grandi dal mondo. Senza però sobbarcarsi lo stress di un manager. Nelle università italiane, come nel resto della pubblica amministrazione, basta aspettare, e il tempo farà da solo: l’incedere delle lancette dell’orologio equivale sempre a un aumento di soldi. A prescindere dal lavoro prodotto.
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