Torri, cavalli e pedoni. La scacchiera è pronta, ora il superministro si prepara a chiudere insieme le ultime mosse. L’architrave politico della maggioranza è nelle sue mani, con un solo limite invalicabile. Non rischiare neppure per un attimo di portare scacco al re. Quella sarebbe un’altra partita e il rischio concreto è di uscire dal gioco. Ma Giulio Tremonti non ha alcuna intenzione di venir mangiato. Sa che con questo scenario politico la pazienza è un ingrediente fondamentale. Lui ha imparato ad averla, qualcun altro no. Il risultato è che l’uomo dei conti sta spostando ai margini tutti i suoi competitor interni. Ora accanto al re c’è lui. Il paradosso è che non si è neppure affannato. È la vittoria di Parmenide su Eraclito. Tremonti è rimasto fermo. Sono stati gli altri a inciampare. Il ministro dell’Economia si è limitato a occupare lo spazio vuoto che un giorno dopo l’altro gli si formava intorno.
Scajola si è chiuso in casa, Verdini è impantanato, La Russa in difesa, Fini guarda fuori dalla finestra. Non resta che Gianni Letta. E infatti le prossime «non mosse», quasi per forza di gravità, prevedono l’annessione della Protezione civile, non più autonoma ma controllata dal Tesoro, e la sostituzione di Cardia alla Consob. Così Giulio il tecnocrate diventa il riformatore del berlusconismo.
Non cambia il suo modo di pensare. Lo ha applicato in economia e lo conferma in politica. «La meteorologia non fa il tempo, non decide quando splende il sole o quando piove, ma aiuta a navigare. I marinai sanno che non si governa il mare ma la nave, che si manovrano le vele e non il vento». E il barometro dice che ora la scena è sua. A cominciare da questa mattina. Se qualcuno gli chiede di aspettare, discutere, concordare, a chi lo accusa di «giuliocesarismo», la risposta è sbrigativa: «La situazione non è bella, siamo alpinisti aggrappati a una parte verticale, non possiamo traccheggiare».
La vigilia è sempre faticosa. Giulio Tremonti ha messo in cantiere la sua manovra da ventiquattro miliardi. Oggi se la gioca in Consiglio dei ministri e non dovrebbero esserci sorprese. È il sigillo al ruolo che sta svolgendo ormai negli ultimi lunghi mesi. È andato avanti da solo, senza coinvolgere più di tanto gli altri ministri, rischiando di far infuriare Berlusconi, che si è ritrovato a dover giustificare certi atteggiamenti da primo della classe con il resto della squadra. Ma Giulio è fatto così. È duro. È cinico. È sbrigativo. Solo che in questo governo nella tempesta, con le nubi che volteggiano su troppi nomi, l’uomo dei conti è una certezza. Non è il delfino di Berlusconi, ma sta diventando un punto fermo per ripartire. Berlusconi sa che la riforma del berlusconismo non può fare a meno di Tremonti. Il superministro non è Fini. Non cerca spazi politici alernativi. Non pronuncia mai la parola futuro. E non ha bisogno di fondazioni. Agli amici continua a ripetere: «A chi pensa davvero non serve un pensatoio». Poi sorridendo aggiunge il solito corollario: «Chi lavora non ha bisogno di ricamare». È la sua filosofia, come al solito concreta, con il gusto di mettere tutte le tessere al proprio posto.
Questa manovra, infatti, segna anche una svolta politica. Tremonti non è più il tecnico. Quello da chiamare quando c’è da tagliare, ma sempre un po’ fuori dal giro. È un politico che ha limato e radicato le sue alleanze. È l’uomo che offre prospettive alle ambizioni del Carroccio. Non è un leghista, ma resta un concentrato lumbàrd made in Valtellina. Il ministro non apre grandi tavoli dove discutere le politiche economiche, ma è molto attento a non far abbassare il livello della pace sociale. Il confronto con le parti sociali che contano, e gli interessano, è costante. Quando vuole sa usare bene la diplomazia e, di fatto, senza usare mai la parola concertazione le sue scelte sono concertate. La verità è che il suo Dna resta socialista. Il liberismo non lo affascina. In questo ha finito per condizionare anche la Lega, che da tempo ha smarrito lo spirito da tea party e da no tax day.
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