Il decreto salva-Italia passa a pieni voti l’esame dei mercati. Non c’è possibilità di travisamento nelle cifre espresse ieri sia da Piazza Affari, in rialzo del 2,91%, sia dalla caduta verticale degli spread sotto quota 380 (livelli da fine ottobre) e dal contestuale raffreddamento dei rendimenti dei Btp al di sotto del 6%. Una reazione complessivamente euforica, specie se paragonata agli score, positivi ma decisamente più contenuti, delle altre piazze finanziarie (Madrid, la migliore, ha guadagnato l’1,9%), dove viene comunque mantenuta la barra del rialzo grazie alle aspettative che dal vertice Ue di giovedì e venerdì prossimi escano soluzioni contro la crisi dell’euro.
La risposta degli investitori era per larga parte scontata. E per una serie di ragioni. Iniziamo dalla componente psicologica, che un certo qual peso ha sempre sui mercati. L’aver comunicato i contenuti della manovra prima dell’apertura delle Borse e prima dell’inizio di una settimana cruciale per le sorti di Eurolandia ha sortito senz’altro un effetto benefico. Anche perché nella notte tra sabato e domenica il governo era ancora alle prese con la messa a punto del provvedimento. Ancor più apprezzato è stato però il coup de théâtre con cui Mario Monti ha fatto sparire l’inasprimento dell’Irpef sui redditi da 75mila euro in su. Una misura da basso indice di gradimento, in quanto avrebbe colpito ancora una volta il ceto medio senza incidere in maniera sostanziale sul riequilibrio dei conti pubblici.
Sotto questo profilo, è proprio la parte del decreto più controversa ed esposta alle critiche di parte del mondo politico e dei sindacati, ovvero la riforma delle pensioni, che è stata letta dagli investitori come il primo vero passo sulla strada di quei cambiamenti strutturali chiesti da tempo, e con insistenza, dall’Europa all’Italia. Monti, del resto, ha spiegato che «questo è ovviamente solo l’inizio». Ciò significa che il governo potrebbe presto cominciare ad affrontare anche i nodi del mercato del lavoro e nello specifico la nuova norma dell’articolo 8 con cui viene spostato il baricentro della contrattazione dal piano nazionale a quello aziendale (o territoriale) e con cui si attenuano le rigidità in materia di licenziamenti. È un altro terreno di prevedibile scontro, ma questa rimodulazione non può non piacere ai mercati. A chiederla al nostro Paese, anche in questo caso, sono sempre i partner europei in nome di una maggiore flessibilità, necessaria per alzare l’asticella della competitività del nostro sistema produttivo.
Lo scatto in avanti di ieri della Borsa è però anche legato al cordone di sicurezza steso dal governo attorno al sistema bancario. Non è un caso che i maggiori rialzi abbiano riguardato proprio i titoli del credito: Banco Popolare ha compiuto un balzo dell’11,65%, Mps del 10,68%, Bpm del 7,28%; sugli scudi anche Unicredit (+5,42%) e Intesa Sanpaolo (+3,85%). La garanzia pubblica è una sorta di «bollino blu» a prestiti e obbligazioni bancarie, che permette tra l’altro di continuare ad accedere allo sportello a sconto della Bce. È un intervento provvidenziale per le banche: invitate da un lato dalle autorità europee a ricapitalizzarsi per 15 miliardi, e dall’altro alle prese con un tasso interbancario schizzato al 13%: livelli da credit crunch, cioè da spia rossa accesa sul pannello della liquidità. Il paracadute aperto da Monti sembra in grado di evitare effetti di strozzatura sull’economia reale (pensate ai prestiti alle aziende e alle famiglie), proprio in un momento in cui l’Italia è ormai prossima, secondo le indicazioni di organismi come l’Ocse, a scivolare in recessione. E una contrazione del Pil avrebbe come possibile conseguenza la necessità di varare nuove manovre correttive, destinate ad alzare il livello dell’inquietudine politica e sociale.
La tenuta della Borsa italiana andrà comunque valutata nei prossimi giorni. In assenza di un’intesa nel prossimo vertice di Bruxelles, nemmeno la cura draconiana del governo potrà evitare nuovi avvitamenti degli indici e la risalita della febbre da spread.
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