Abbronzato e sorridente, il presidente della Camera non si è sottratto ad alcuna domanda che gli è stata posta alla Festa del Campanile. Meno una, perché mentre se ne andava e i giornalisti gli hanno domandato se condivideva l’ultima intervista del suo Franco Giordano che minaccia il governo e spara a zero sul «neocentrismo» di Francesco Rutelli, ha glissato facendo l’uomo delle istituzioni: «Non commento le dichiarazioni del segretario del mio partito». Per il resto, s’è prestato volentieri. E poiché proprio adesso al ministero dell’Economia iniziano a metter mano concreta alla Finanziaria, ha lanciato messaggi e avvertimenti in tono colto e garbato, ma poco o punto super partes. «Oggi il Paese ha bisogno di un’operazione complessa di redistribuzione della ricchezza», ha affermato Bertinotti, poiché «è contratto da un eccesso di disuguaglianza» che rischia di avvicinare l’Italia «al modello sociale americano». Negli Stati Uniti, spiega, «il rapporto tra gli stipendi dei massimi manager e quello dei dipendenti, che vent’anni fa era di 1 a 40, è passato ai nostri giorni al livello di 1 a 450». È più di un avvertimento, quello del compañero Fausto: suona come il programma dei comunisti di lotta e di governo per l’assalto alla Finanziaria del professor Padoa-Schioppa. Del resto, insiste il presidente della Camera, «le ricchezze fotografate dal fisco sono palesemente contraddette da ciò che vedono gli occhi», e se gli industriali chiedono ancora sgravi al governo, le priorità sono altre, da privilegiare nell’uso del cosiddetto Tesoretto: «Non si può volgere lo sguardo altrove quando tanti pensionati, lavoratrici e lavoratori faticano ad arrivare a fine mese».
Ce l’ha infatti con Veltroni; quel che meno gli è piaciuto del manifesto del sindaco di Roma per la corsa al vertice del Partito democratico è proprio «l’idea che nella società moderna evaporino i riferimenti ai contenuti sociali». Non a caso reputa giusto esentare dall’Ici i luoghi di culto, mentre «vanno tassati i beni religiosi che costituiscono una rendita». Se il ministro Arturo Parisi il giorno prima ha chiesto più soldi per la Difesa, lui ribatte che «fra una spesa per la ricerca ed una per un vettore militare, sceglierei la prima». Sul «Che fare?» per l'Alitalia non ha dubbi: se ne deve far carico lo Stato, perché «non si può fare a meno di una compagnia di bandiera». E quando un giovane postdemocristiano gli domanda perché la sinistra radicale ce l’ha con la legge Biagi - non è forse meglio lavorare anche pochi mesi che consumarsi al bar? -, lui risponde che il lavoro precario «va bene se è la porta d’ingresso per un lavoro stabile, va male se la porta ti sbatte in faccia ogni volta, entri precario a 18 anni e lo resti anche a 50».
Però, quando il moderatore Clemente Mimun gli pone la domanda credendola giocosa e ammiccante - «Parteciperà allo sciopero fiscale?» - ecco la shoccante e seria risposta di Bertinotti, in solidarietà con «quella parte della popolazione a cui è impedito fare lo sciopero perché
il sistema fiscale è asimmetrico». «A una parte degli italiani lo Stato dà fiducia e il prelievo viene effettuato in base alle loro dichiarazioni, mentre gli altri non possono farlo perché hanno il prelievo alla fonte». Chiude Bertinotti, confermando che alla fine di questa legislatura lascerà l’attività politica. Perché se la politica «è una passione inestinguibile», spiega, «penso che la direzione politica abbia dei limiti di età. Se lo fa la Chiesa per i vescovi, si può fare anche in politica». Sempre che non finisca come Veltroni, che ha già dimenticato l’Africa, o Giuliano Amato che annunciò il «ritorno agli studi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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