Roma - Alle cinque della sera, l’ora dei tori (o del tè, se preferite), finalmente il Senato ha dato un senso alla giornata che s’andava trascinando senza frutto dal mattino. «Ammuina», accusava la maggioranza. «Giusta battaglia procedurale», rivendicava l’opposizione difendendo l’ostruzionismo che aveva dimostrato «l’impraticabilità del campo», come gioiva Carmelo Viceconte. Tenete conto che la Finanziaria, secondo il calendario prefissato e le speranze del governo, doveva esser licenziata ieri sera. Ma dopo le schermaglie e ben due riunioni della Capigruppo, Marini ha «ottenuto» l’unanimità sul rinvio allungato: si continua con gli emendamenti, i sub e gli articoli accantonati ancora oggi, con la possibilità di far slittare il voto finale a venerdì mattina. E perché no a sabato, se il centrodestra troverà il modo e la forza.
Potevate giurarci, ambedue gli schieramenti han sbandierato l’allungamento del brodo come una propria vittoria. «La proposta è venuta dall’Unione», rivendica la Finocchiaro, «perché così non c’è alcun bisogno del voto di fiducia». In verità dopo la prima conferenza dei capigruppo, alle 13, che a maggioranza aveva deciso una proroga dei tempi sino alla mattinata di oggi, era stata la Cdl ad insorgere chiedendo - per voce ripetuta di Schifani, Matteoli, D’Onofrio e Castelli - di poter arrivare «almeno a venerdì», data l’importanza dell’eccezione sollevata da Mastella al taglio dei superstipendi dei superdirigenti pubblici. Forse han vinto ambedue, ma potrebbe aver vinto di più il presidente Marini, che ieri ha giocato la sua partita «pensando al futuro» come maligna Willer Bordon. Nella prima riunione infatti, il centrosinistra s’aspettava che Marini tagliasse corto imponendo il rispetto del calendario, con l’obiettivo di chiudere la partita ieri sera. Quello invece ha tentato la mediazione, e poi nella seconda ha propiziato totalmente l’obiettivo del centrodestra, ponendo alla Finocchiaro (e a Prodi) il dilemma: o così, o la fiducia.
Ovviamente, è finita così. Ed ora la maggioranza è infuriata con Marini, «ha sbagliato» tuona il verde Ripamonti mentre mugugnano quelli del Pd e a sinistra c’è chi spiega che «Marini s’è offeso perché Prodi e Veltroni lo tagliano fuori dalle decisioni. E così blandisce il centrodestra, perché l’ipotesi di un governo istituzionale mica è tramontata del tutto». Ad un «futuro» da premier, lavora Marini? Tant’è che il commento serale di Palazzo Chigi suonava di un gelido fulminante: premesso che «il presidente del Senato non deve, il presidente sceglie», «rispettiamo la scelta di Marini».
In verità per la Cdl è un discreto successo, che la consola per l’eterno e ormai estenuante rinvio della «spallata». Han guadagnato due giorni, che consentiranno di aprire i gazebo della «grande manifestazione nazionale» col ferro della Finanziaria ancora incandescente. E due notti preziosissime - anche in natura le volpi lasciano in pace i polli, di giorno - per le trattative con gli «scontenti» dell’Unione. Hai visto mai che Dini e Scalera, seppur senza D’Amico, si convincano alla rottura dopo tanti «pizzini» scambiati con Cantoni, telefonate misteriose e pubblici assensi ad Azzolini che denunciava «la devastazione» dei conti pubblici? Anche Mastella riconosce come «legittimo» l’estremo tentativo della Cdl di dare una spallata al governo, «tentando la notte di qualcuno per fargli cambiare idea».
Insomma, la partita non è chiusa.
Anzi, si riapre il fronte dei senatori a vita, perché la Levi Montalcini poteva rinviare il volo per l’America ad oggi pomeriggio, ma adesso per votare sino alla fine dovrà rinunciare definitivamente al viaggio. Anche Scalfaro garantiva la presenza sino a ieri sera, da ora è molto incerto perché non sta in perfetta salute.
Pare che anche Andreotti, abbia altro da fare. E il perfido Cossiga promette che invece ci sarà, a votar contro Prodi che «mi delude» dice, perché è riuscito «a riconquistare l’amico Dini» senza «acquistare la mia assenza».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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