nostro inviato a Mantova
«Guarda laggiù», ti dicono appena metti piede in piazza Sordello, il cuore della città, una bomboniera dove si specchiano i palazzi costruiti nel 1300 dai Gonzaga. Langolo davanti alla Questura è chiuso da un enorme cubo metallico marrone, una costruzione orribile che fa a pugni con le architetture medievali, eretta per consentire di visitare i resti di un pavimento a mosaico di epoca romana (biglietto 2 euro) ritrovato tre anni fa. Una struttura provvisoria costata al comune 250mila euro. «Nel resto del mondo mettono un vetro protettivo e chi vuole lo vede gratis - borbottano i mantovani seduti ai tavolini -. E poi dicono che non hanno soldi per mettere a posto le case popolari che cadono a pezzi dopo ventanni».
A Mantova lultimo sindaco di colore diverso dal rosso era stato il podestà fascista. Sessantacinque anni di giunte social-comuniste, con laggiunta successiva di repubblicani e Ppi. Per questo ieri mattina nelle vie della città si respirava unaria quasi di liberazione. Fine del regime. Sembrava di essere nella Bologna di Guazzaloca. Dai bar alle edicole, il giudizio è unanime: sono tutti contenti. «Mantova torna in Lombardia» aveva esclamato laltra sera il governatore Roberto Formigoni. La Voce di Mantova ha paragonato la Caporetto di Fiorenza Brioni alla tragedia dei brasiliani che nel 1950 persero i mondiali di calcio giocati in casa. E anche la storica Gazzetta, testata fondata nel 1664 che ora fa capo al gruppo Espresso-Repubblica, tira un sospirone per la fine della «lunga stagione di grigiore e veleni cui ha dato vita il centrosinistra locale».
Nel Partito democratico hanno già puntato il dito contro una non meglio precisata «lobby economica» che ha fatto breccia. Mantova è la città dei Marcegaglia e dei Colaninno, periferia lombarda più affine allEmilia, provincia profonda, ricca, opulenta, che cerca di darsi una veste radical-chic con il Festival della letteratura. Gridare al complotto è una via di fuga sempre pronta. Più difficile è ascoltare la gente. E la lista delle lamentele dei mantovani è interminabile. Il raccapricciante cubo di piazza Sordello. Il centro storico chiuso da telecamere implacabili (multa minima 88 euro) e le vie circostanti strozzate dal traffico pesante, visto che gli ambientalisti non vogliono nuovi ponti sui laghi. La mancanza di parcheggi, e i pochi esistenti sorvegliati da stranieri probabilmente irregolari anziché dai vigili, sguinzagliati a staccare contravvenzioni.
Problemi comuni a molte città, ma a Mantova sono frutto di generazioni di giunte di centrosinistra. Che negli ultimi anni ha deciso di suicidarsi. La Brioni, comunista fin da giovanissima con tessera Fgci, era partita male subito: la fronda interna le aveva fatto mancare il numero legale nella seduta di insediamento. Ogni anno lapprovazione del bilancio era un dramma. Il sindaco aveva metà partito contro, a cominciare dal suo predecessore Gianfranco Burchiellaro, che in campagna elettorale non ha mosso un dito. I principali progetti di sviluppo che lui aveva avviato sono stati bloccati. Sullamministrazione Brioni pesano 96 contenziosi di ditte che scalpitavano per aprire i cantieri. Soldi spesi dalla vecchia giunta e lasciati senza futuro, come lidea del nuovo stadio per il Mantova calcio, abbandonata con il progetto preliminare pronto.
In autunno sono state fatte le primarie che hanno frantumato quel che restava del Pd. Alluscita dai seggi, un cronista della Voce ha intercettato schiere di indiani e bengalesi che hanno candidamente confessato: «LArci ci ha detto di partecipare in blocco alle primarie e votare Brioni». Una figura storica come Tonino Zaniboni, ex democristiano di sinistra per 18 anni presidente della Camera di commercio, si è autosospeso dal partito, ha presentato una sua lista che al primo turno ha preso il 10 per cento e per il secondo turno ha detto che chiunque sarebbe stato meglio del sindaco riconfermato.
Che le cose si mettevano male per la Brioni, lo si era capito già negli ultimi giorni di campagna elettorale, quando il partito ha trascinato a Mantova il segretario Bersani (venerdì), DAlema, la Serracchiani, Franco Marini. Ieri il direttivo provinciale si è riunito e ha aperto ufficialmente il processo interno. Vecchi rituali cui la placida Mantova resta indifferente.
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