Da Manu Chao a Naomi, tutti a braccetto coi dittatori

MilanoD’altronde tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo il pop. Ossia: il mondo è pieno di divi che cantano peana alla democrazia ma poi mica si fanno scrupoli ad andare a pranzo con il nemico (della democrazia, ovvio). Parlare è bello, incassare molto di più. Adesso Jovanotti canta a Cuba, dove aveva già cantato nel 1995, e stavolta c’è il mantello cortese della definizione di concerto per «la pace senza frontiere». Lui è abituato a stare a cavallo tra queste contraddizioni(e stavolta non prende cachet). Ma ci sono altri che, tanto per dire, gridano vendetta. Ad esempio i Rolling Stones. Nel loro ultimo album A bigger bang del 2005 avevano addirittura strillato contro Bush, allusivamente definito «ipocrita» nella canzone Sweet Neo Con: «Dove è andato a finire il denaro? Nel Pentagono». Poi però poco tempo dopo loro sono andati tranquillamente a suonare a Shangai, nel bel mezzo di quella Cina non proprio tollerante, e hanno pure accettato di farsi censurare cinque brani in scaletta pur di portare a casa il cachet, altro che Pentagono.
E quanti hanno alzato la voce per difendere Bjork, una che sempre a Shangai prima delle Olimpiadi aveva detto che, insomma, il Tibet doveva ribellarsi alla Cina sanguinaria? Pochissimi, tantomeno Manu Chao, il campione dell’anti imperialismo a parole. Ha lanciato una scintillante crociata contro Bush «terrorista», è il divo dei centri sociali e critica le multinazionali «fasciste» salvo poi farsi distribuire i dischi proprio da una di loro, naturalmente pagato cento volte un metalmeccanico. Andasse a Cuba, abbraccerebbe Fidel Castro con più forza di Gianni Minà ai bei tempi o di Oliver Stone oggi. Risultato: Bjork non canterà più in Cina, Manu Chao invece può esibirsi ovunque, specialmente in Italia dove può strillare dal palco «Berlusconi pinocchio» senza che a nessuno venga in mente di censurarlo. Ma d’altronde va sempre a finire così: la democrazia degli altri è comunque più bella, anche quando non c’è. Naomi Campbell ha strillato contro le «multinazionali razziste» poco prima di confessare che «la classe operaia ti manda in paradiso: a letto molto meglio dei ricchi». Però era fidanzata con lo stramiliardario russo Vladislav Doronin e, alla faccia della suddetta classe, si era innamorata di Hugo Chavez, non proprio un democratico né tantomeno un operaio. «Più che un gorilla, è un toro», anzi «un angelo ribelle» ha dettoNaomi . E forse queste frasi hanno titillato ancor di più gli intellettuali che pochi giorni fa a Roma protestavano contro gli attacchi alla libertà di stampa ma alla Mostra di Venezia applaudivano commossi questo dittatore venezuelano immortalato in un documentario dall’ossequioso Oliver Stone. Tra l’altro, così per dire, Chavez ha bandito dal Venezuela la superstar Alejandro Sanz solo perché durante un concerto a Caracas aveva detto: «Non mi piace il vostro presidente». Uniche voci celebri a protestare: Miguel Bosé, Laura Pausini e Ricky Martin. Manu Chao non pervenuto. Insomma fidarsi delle popstar è bene ma talvolta è meglio diffidare.

Oppure aspettare, come è stato necessario fare con Caetano Veloso uno che ha benedetto il ’68, sbaciucchiato gli intellettuali di sinistra più estremisti ma alla fine non ha resistito e l’anno scorso ha risposto a Fidel Castro che criticava un suo testo: «Non accetto ordini dai dittatori». Più chiaro di così.

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