Nell’editoriale di ieri sul Fatto, oltre a fare lo spiritoso sul mio cognome (cosa che uno che si chiama Travaglio dovrebbe evitare accuratamente, ma la classe è questa), la spalla di Michele Santoro tenta di smontare l’inchiesta del Giornale sulla casa di Montecarlo con una tirata sulla cucina Scavolini che vorrebbe essere satirica, in realtà è a malapena brigugliesca, nel senso di Briguglio. Dico a malapena perché forse persino il peggiore dei ventriloqui di Fini, leggendo con attenzione l’articolo pubblicato sul Giornale di domenica, avrebbe capito che l’ipotesi che la cucina fosse troppo grande per l’appartamento monegasco non era di chi scrive, bensì di Benedetto Della Vedova. E che la supposizione che tale mobilio fosse stato dirottato in altra abitazione era semplice espediente retorico per sostenere un ragionamento: anche se fosse, non cambierebbe nulla. Capisco però che seguire un discorso che contempla frasi ipotetiche e subordinate presupponga una certa preparazione sintattica, per cui mi assumo senz’altro la colpa della cantonata presa da Travaglio e provo a spiegarglielo in maniera più piana, di modo che possano capire anche lui e i suoi neoamici finiani. Magari persino Barbareschi.
Innanzi tutto, tenetevi forte, questa non è un’inchiesta giudiziaria e non si basa su atti giudiziari. Può essere difficile da capire per chi è abituato a lavorare solo sulle veline e sui verbali della Procura, ma è la verità. Questa è un’inchiesta giornalistica che prende le mosse da una segnalazione di un amico di un nostro prestigioso collaboratore e viene, faticosamente, sviluppata sul campo dai nostri inviati. Dunque non c’è un dossier (tantomeno un finto dossier) e non ci sono servizi segreti. Anche questo può risultare incredibile, e di certo Barbareschi non comprenderà. Ma è così e prima o poi, fidatevi, dovrete rassegnarvi.
Dunque, ricapitoliamo i fatti. Scopriamo che Alleanza nazionale dieci anni fa ha ricevuto in eredità dalla contessa Colleoni, per condurre la battaglia politica, molti beni tra cui un appartamento a Montecarlo. Scopriamo che questo appartamento, per il quale erano state rifiutate offerte fino a 1,5 milioni di euro, due anni fa è stato venduto, su precisa disposizione di Fini, ad appena 300mila euro a una società con sede in un paradiso fiscale. Scopriamo che ora ci abita Gianfranco Tulliani, il «cognato» del presidente della Camera. Chiediamo a Gianfranco Fini che ci spieghi che cosa è successo. Lui fa lo gnorri. Noi insistiamo. I tesorieri di An farfugliano e si contraddicono. Nel frattempo alcuni ex militanti, sospettando di essere stati raggirati dal loro capo, fanno un esposto alla Procura di Roma, che apre un’inchiesta. A questo punto, finalmente, anche altri quotidiani cominciano a interessarsi della faccenda e qualcuno pone al presidente della Camera più o meno le nostre stesse domande. Tra gli altri, con un editoriale in prima pagina, anche Il Fatto (ricordi, Travaglio? È il tuo giornale).
Sentendosi assediato, Fini cede e dirama una nota in otto punti per dire sostanzialmente che Tulliani è là dentro a sua insaputa e che lui è sorpreso e pieno di disappunto. Sono spiegazioni che non spiegano nulla. C’è anche un’affermazione sulla data di vendita palesemente falsa. Qualcuno glielo fa anche notare, ha un sussulto di dignità persino Repubblica. Poi tutti abbozzano. Noi no. Il presidente della Camera sta mentendo agli italiani. Il paladino della legalità non è in grado di chiarire il magheggio sulla casa monegasca. Ci pare una notizia. Raccogliamo testimonianze che portano tutte in un’unica direzione. Intervistiamo chi ha ristrutturato l’appartamento: ci riferisce di come Giancarlo Tulliani si comportasse più da padrone che da futuro affittuario. Sentiamo un abitante dell’edificio di Boulevard Princesse Charlotte 14 che sostiene di aver visto Fini in quella casa lo scorso Natale. Un altro che ci ha chiacchierato insieme nell’androne a novembre. Un dipendente di un negozio di arredamento che racconta di quando lui ed Elisabetta Tulliani acquistavano mobili dicendo che erano destinati a una casa a Montecarlo.
Qui succede una cosa strana. I colleghi si buttano a capofitto a cercare di smontare le testimonianze. Si aggrappano ai cassetti di una cucina, cavillano sul minuto preciso in cui il presidente della Camera è stato avvistato nel Principato, insinuano che chi parla con noi è prezzolato. Ma in realtà non cavano un ragno dal buco. Ripetiamo: i nostri non sono interrogatori di polizia. E può anche darsi che a distanza di tempo qualcuno confonda un weekend con un altro. Ma la sostanza non cambia. Fini parlava apertamente di quella casa e la frequentava con una certa assiduità. Ergo, sulla sua sorpresa e il suo disappunto non ce l’ha raccontata giusta. Noi invece vogliamo sapere la verità. E con noi le decine di migliaia di italiani che ci leggono tutti i giorni e ci scrivono per chiedere le dimissioni di Fini. Anche per loro, soprattutto per loro, andiamo avanti.
Dopo l’illuminante intervista all’ambasciatore italiano a Montecarlo, oggi offriamo ai nostri lettori il gustoso racconto dell’imprenditore italiano che da 25 anni ha lo studio lì (non un dipendente di Berlusconi, né uno spione dei Servizi, purtroppo per qualcuno) che
racconta di quando, nel dicembre scorso, il presidente della Camera in quella casa arrivò con tanto di scorta della polizia a sirene spiegate.E le sorprese sono tutt’altro che finite. Con buona pace dei travagliati finiani.
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